Giorgio Vittadini è professore di statistica all’Università Statale Bicocca di Milano, e fondatore e ispiratore della Fondazione per la sussidiarietà. Soprattutto attraverso il rapporto di ricerca annuale della Fondazione si occupa di mostrare come la sussidiarietà sia un metodo efficace con cui affrontare molti dei problemi che interessano la nostra società.

Negli anni il Rapporto sulla sussidiarietà ha toccato temi molto diversi, dal welfare al lavoro, dalle infrastrutture alla finanza.
«Più che teorizzare cerchiamo di osservare la realtà per vedere in azione la sussidiarietà. La cultura sussidiaria sta indubbiamente mostrando le migliori possibilità per affrontare i grandi problemi della contemporaneità: la crisi della democrazia e del modello neo-liberista. Individuare cosa spinge le persone a dare il meglio di sé nell’attività quotidiana, a superare l’individualismo per riscoprire l’importanza della comunità, a ricostruire luoghi di aggregazioni come forme di auto organizzazione per produrre servizi; individuare come lo Stato possa sostenere questi sforzi e investire sulle persone, e come possa intervenire al meglio dove non vi siano risposte adeguate per i cittadini. Tutto ciò significa scoprire la sussidiarietà in atto. È l’aver visto in moto azioni “verticali” (tra istituzioni di diverso livello) e “orizzontali” (tra istituzione e società) che ci fa dire che più società fa bene allo Stato e uno Stato che funziona meglio fa bene ai cittadini».

C’è quindi una mentalità di fondo da recuperare ed è questa che crea quelle iniziative positive alle quali tu fai riferimento?
«Sicuramente abbiamo tradizioni culturali che hanno sostenuto il diffondersi di corpi intermedi in molti settori. Se prendiamo la ricchezza di aggregazioni politiche, culturali, caritatevoli e assistenziali della Lombardia non possiamo non pensare alle caratteristiche dell’illuminismo lombardo. Questo, espressione di nuovo umanesimo e di federalismo, ha dato vita a una miriade di iniziative sociali ed economiche nel mondo cattolico, laico e del riformismo socialista. Abbiamo ancora banche, ospedali e istituzioni assistenziali che vengono da quella tradizione. Una politica regionale che ha scommesso sulla capacità della società civile di essere attiva ha permesso la nascita di una rete di servizi al lavoro, di centri di formazione professionale e di centri di assistenza che è certamente un esempio per altre realtà territoriali».

Come dice, è una cultura in controtendenza con quanto sembra prevalere. Nei paesi europei, non solo da noi, si diffondono egoismi, nazionalismi, chiusure verso l’altro e il diverso che arrivano a mettere in discussione le istituzioni di garanzia.
«Il dramma principale sono i rischi per la pace che il mondo sta correndo. A questo si aggiunge la debolezza della partecipazione politica e una diminuzione del peso dei corpi intermedi che hanno formato le nostre società europee. Per ridare alla politica il ruolo che le compete, c’è bisogno di comunità pensanti. È essenziale perché si torni ad avere canali di diplomazia funzionanti e si metta da parte l’uso della violenza. Le elezioni europee hanno una grande valenza per indicare una via diversa alla crisi della globalizzazione dovuta alle esagerazioni neoliberiste e indicare una via che, basandosi sulla sussidiarietà, aiuti tutto un popolo a sentirsi europeo».

Massimo Ferini

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