Se il Presidente Trump è diretto, talvolta lo è anche il Presidente Mattarella. Ieri il capo dello Stato non si è limitato, visitando “Agricoltura È”, a Roma, a frasi di circostanza: «La cooperazione di mercati aperti – ha dichiarato Sergio Mattarella – per noi corrisponde a due esigenze vitali: pace e concreti interessi di un Paese esportatore. I dazi creano ostacoli ai mercati, ostacoli alla libertà di commercio, alterano i mercati, penalizzano prodotti di qualità, questo per noi è una cosa inaccettabile ma dovrebbe esserlo per tutti i paesi del mondo». Messaggio chiaro e tondo, mittente il Quirinale, destinataria la Casa Bianca.

La posizione complessa di Giorgia

Giorgia Meloni, da Palazzo Chigi, non replica. Ma è evidente a tutti come la sua posizione risulti di giorno in giorno più complessa, sui carboni ardenti dei dazi. Ieri Ursula von der Leyen ha fatto sapere che la risposta europea arriverà due settimane dopo la data inizialmente fissata del 1 aprile. Tempo utile affinché le diplomazie trattino. E tempo prezioso per provare a trovare una soluzione condivisa tra i Capi di Stato e di governo europei: gli occhi degli osservatori sono puntati al bilaterale Italia-Francia di giovedì, a Parigi, quando Meloni andrà ad incontrare Emmanuel Macron. Le tensioni internazionali si riverberano – perfino amplificate – sulla maggioranza di governo. Schlein si diverte a fare la telecronaca a bordo campo, citando le battute (vere o presunte) dell’uno e dell’altro. «Ormai siamo alla guerriglia quotidiana dentro la maggioranza di governo, Lega e Forza Italia continuano a litigare sulla politica estera mentre Giorgia Meloni non riesce a prendere una posizione chiara». In tema di posizioni poco assertive, d’altronde, la segretaria Dem è cultrice della materia. Però le litigate ci sono, o almeno ci sono state. E la fuga in avanti di Matteo Salvini con la telefonata a JD Vance, sulla spinta dell’imminente congresso della Lega, convocato per il 5 e 6 aprile a Firenze, ha indispettito non poco Forza Italia e il suo leader, Antonio Tajani, che ha puntato i piedi ricordando, già sabato scorso, che la politica estera la fanno lui e la premier. E stop. Una dichiarazione istituzionale per un verso, che per l’altro taglia fuori proprio il leader leghista. Ormai entrato in modalità combat: tra un «matto» a Macron e un «vaffa» a Ursula, Salvini è tornato “osservato speciale” della coalizione.

Le rassicurazioni

Ieri dagli azzurri sono arrivate numerose rassicurazioni: «Nessun vertice di maggioranza, non serve. I leader della coalizione di governo si vedono e si sentono continuamente e non ci sono problemi di fondo se non enunciazioni per rimarcare le proprie posizioni e la propria identità», ha detto il portavoce nazionale di Forza Italia e vice-capogruppo vicario alla Camera Raffaele Nevi. Che spiega, quanto a qualche parola di troppo intestata a Tajani: «Ieri ha spiegato che vuole fare un partito serio e non superficiale e non fatto di quaquaraquà, ma non ha detto che la Lega è un partito di quaquaraquà». Getta acqua sul fuoco anche Giorgio Mulé, vicepresidente della Camera e deputato di FI: «Matteo Salvini non è né il ministro ombra né fa ombra al ministro degli Esteri. Il ministro degli Esteri brilla di luce propria all’interno di un Governo che ha delle responsabilità ben delineate e, al di là del presidente del Consiglio, chi mette in pratica la politica estera di un Paese è il titolare della Farnesina. Salvini esprime legittimamente le sue opinioni e può incontrare chi vuole ma ciò non mette in difficoltà né Antonio Tajani né il governo». Tutto scorre, quindi, fino alla prossima scossa. Salvini nei prossimi giorni potrebbe precisare la data della sua annunciata missione a Washington.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.