Taglio dei parlamentari, via libera al referendum

Le elezioni sono più vicine, da ieri. C’è infatti il via libera al Referendum sul taglio dei parlamentari: il raggiungimento delle 65 firme tra i Senatori permette al quesito di richiedere il voto di ratifica. Il referendum confermativo sancirà una novità sostanziale: darà una “sforbiciata” degli eletti complessivi pari al 36,5% che, a dire la verità, porterebbe a una riduzione dei costi del solo 0,007%.  Per i 5 stelle, che della riforma hanno fatto un cavallo di battaglia, si risparmierebbero invece circa 500 milioni di euro a legislatura, ovvero 100 milioni annui. La riforma costituzionale taglia 345 parlamentari. L’approvazione definitiva è arrivata lo scorso ottobre, con il via libera della Camera. E con la nascita del governo giallorosso, è stata appoggiata per la prima volta anche da Pd, Leu e Italia Viva (nonostante nelle tre precedenti votazioni avessero votato contro). Hanno votato a favore anche le forze di opposizione, Forza Italia, FdI e Lega.

L’entrata in vigore della riforma, però, non avverrà almeno prima del 12 gennaio 2020, in quanto innanzitutto bisogna attendere i tre mesi previsti dalla Carta per consentire, a chi lo ritiene necessario, di richiedere lo svolgimento del referendum. La Fondazione Einaudi, assieme ad alcuni senatori, ha promosso la raccolta di firme per indire il referendum confermativo, che non necessita di quorum, come previsto per la validità del referendum abrogativo. Sono state raggiunte le firme minime necessarie di almeno un quinto degli eletti in una delle due Camere: in questo caso, sono 65 le firme di senatori, tra cui figura anche quella del senatore a vita e premio Nobel, Carlo Rubbia. Ora bisognerà depositare le firme in Cassazione. La riforma non viene promulgata e, quindi, non entra in vigore, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi, a prescindere dal numero di cittadini che si recano a votare. Dunque, se si dovesse svolgere la consultazione popolare, l’entrata in vigore slitterebbe di diversi mesi e sarebbe comunque subordinata alla vittoria dei sì.

Dopodiché, una volta svolto il referendum, serviranno circa due mesi per ridisegnare i collegi. La politica è entrata in fibrillazione, con il centrodestra che fa i conti con la possibilità concreta di andare all’incasso e con la tentazione, per gli scontenti del M5S, di passare sotto le insegne sicure della Lega.  Non ci sono tuttavia automatismi tra raccolta firme e scioglimento anticipato, ci può essere solo una tentazione in più perché si apre in primavera una finestra coi vecchi numeri, prima esclusa, ma dalla tentazione non deriva automaticamente niente.

C’è però da tener conto di un effetto indiretto di un referendum sull’altro che non è facile a capirsi ma che sta venendo fuori. «Calderoli aveva agganciato nel quesito la delega per ritagliare i collegi in seguito al taglio dei parlamentari. Ma se non fossero state raccolte le firme il taglio sarebbe entrato in vigore immediatamente, aprendo la delega che si sarebbe esaurita subito. Il quesito sarebbe stato dichiarato inammissibile perché non poteva resuscitare una delega già esaurita.  Adesso invece la delega non scatta: e il quesito potrebbe aprirla», racconta un giurista al Riformista. Non è scontata l’ammissibilità perché la Corte potrebbe dire: “Tu non mi dai i collegi ma solo la delega per arrivarci, però ora se la giocano dicendo che comunque loro lo strumento per arrivarci ce l’hanno”.

Il premier Conte allontana lo spettro elettorale. «Abbiamo tante cose da fare, abbiamo un’agenda fitta, io giorno dopo giorno lavoro per risolvere i problemi del Paese. Sono percorsi istituzionali, non influenza e non può influenzare l’agenda di governo». Dal fronte governativo, il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, non è scaramantico: «Ben venga la consultazione dei cittadini perché sono sicuro che il Paese sarà dalla parte del Movimente 5 Stelle e della maggioranza che ha voluto e sostenuto questa legge».