“Talebano buono non esiste, dittatura soft della sharia è insulto all’intelligenza”, intervista a Stefano Silvestri

«Per carità, possiamo inventarci di tutto per giustificare errori o “fughe”. Ma per favore, evitiamo di inventare la favola del talebano “buono”. Una dittatura soft della sharia è peggio di una fake news. È un insulto all’intelligenza». A sostenerlo è uno dei più autorevoli studiosi italiani di politica internazionale: il professor Stefano Silvestri. Già presidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai), è stato anche docente sui problemi di sicurezza dell’area mediterranea, presso il Bologna Center della Johns Hopkins University e ha lavorato presso l’International Institute for Strategic Studies di Londra.

Per definire gli accadimenti in Afghanistan, si sono utilizzati termini quali fuga, tradimento etc. Fuori dal definizionismo, qual è la sua lettura?
La tragedia afghana in realtà è il prodotto del caos politico in America e in Europa. È un fatto di politica interna, americana ed europea. In questo caso, Biden, con un Parlamento diviso, non poteva non andarsene dall’Afghanistan dopo le prese di posizione e gli accordi di Trump con i talebani. E se n’è andato forse nella maniera peggiore, assumendosi così anche responsabilità non sue, o non soltanto sue. Però devo dire che tutta questa storia, che è una storia di cattiva gestione, ricorda un po’ le avventure imperiali, anche all’epoca degli antichi romani, quando si abbandonava o si conquistava una provincia per ragioni interne al Senato romano più che perché servisse effettivamente all’impero o perché ci fosse dietro una strategia. Si occupava e poi s’inventava una ragione postuma. Per tornare all’Afghanistan, direi che è mancata una visione strategica, politica della faccenda. Ma dall’inizio. Perché abbiamo cambiato politica praticamente ogni anno. E agendo in questo modo, il risultato non può che essere la confusione.

A proposito di confusione. Adesso va di moda fare il Dna del talebano. C’è chi, anche nei palazzi che contano al mondo, prende sul serio affermazioni su una sorta di dittatura della sharia soft, rimarcando un atteggiamento più politico nei conquistatori di Kabul. Professor Silvestri, allora esiste il talebano “buono”?
La sharia soft la devo ancora scoprire, visto come la interpretano i talebani. Altro discorso è l’approccio al tema dell’islamismo moderno, peraltro odiato dai talebani. No, io non ci credo. I talebani sono diventati un po’ più educati, in questi vent’anni hanno imparato a parlare alla stampa e in pubblico. Ma da qui a dire che sono evoluti culturalmente e politicamente, non mi sembra proprio. Creano il loro emirato, applicano la sharia. Probabilmente faranno qualche piccola concessione, anche perché questo gli serve per avere delle entrature internazionali. Oggi come oggi sono appoggiati dalla Cina. E la Cina non è certo una fanatica della sharia, anzi come vede sharia manda soldati, crea campi di concentramento come abbiamo visto con gli uiguri. L’idea di un Afghanistan militante non piace di certo al Tagikistan, all’Uzbekistan, al Turkmenistan che hanno già abbastanza problemi con i loro fondamentalisti. Per cui faranno un po’ di melina, però nella sostanza io non credo che siano cambiati minimamente e mi aspetto che ricadano negli stessi errori che portarono alla loro caduta nel 2002, e cioè che riaprano le frontiere al terrorismo internazionale.

Per restare su questo aspetto. La guerra dell’Occidente in Afghanistan si aprì, vent’anni fa, dopo l’11 Settembre per assestare un colpo mortale ad al-Qaeda e a Osama bin Laden. Guerra vinta, proclamò Barack Obama annunciando l’uccisione dello “sceicco del terrore”. Lo stesso ha fatto Donald Trump dopo l’eliminazione di Abu Bakr al-Baghdadi, sostenendo urbi et orbi che la guerra all’Isis si era conclusa con una vittoria totale, definitiva. Ma le cose stanno davvero così?
Il terrorismo è un fatto endemico, l’abbiamo capito. Certo, può avere degli alti e dei bassi. Noi possiamo controllarlo, ridurne la portata e la pericolosità, ma difficilmente potremo estirparlo. Tanto più in una situazione in cui l’Islam è ancora fortemente confuso sui suoi orientamenti politici. Perché non abbiamo soltanto i terroristi che dicono fesserie, abbiamo governi che dicono fesserie, dall’Arabia Saudita alla Turchia, dall’Egitto all’Algeria… Il problema è che l’evoluzione dell’Islam verso una religione, come la intendiamo noi, moderna, di tipo laico, prima di tutto è dottrinalmente più difficile che nel caso cattolico o cristiano, dove la distinzione tra quel che è di Cesare e quel che è di Dio era in qualche modo presente anche nel Vangelo, sia pure in genere ignorata dalla Chiesa. Il caso dell’Islam è più complicato. Richiederà tempo. In realtà l’evoluzione dell’Islam moderno la vediamo molto più in Europa che non in questi Paesi dove il peso della cultura tribale è ancora molto forte. Questo è un Islam tribale prim’ancora che una religiosità fanatica. Se noi fossimo rimasti un paio di secoli in Afghanistan suppongo che ci saremmo riusciti, ma non ce n’era la volontà. Adesso si dice che dovevamo trattare l’Afghanistan come la Corea, insediandoci a sempiterna vita. Ma non era questa l’idea. Non era questa la missione che avevamo iniziato.

E quale era, professor Silvestri?
La nostra missione era quella di assestare un brutto colpo ad al-Qaeda, possibilmente ammazzare bin Laden, cosa che è successa anche se con un po’ di ritardo, e quindi convincere gli afghani che non era il caso di allearsi con i terroristi. Questo risultato lo abbiamo sostanzialmente raggiunto nel ’92-93. Dopodiché ci si è immischiati troppo nel processo di consolidamento di uno Stato afghano. Lo Stato afghano dipende, in ultima analisi, da quello che vogliono gli afghani, non è che possiamo insegnarglielo, e tanto meno imporglielo noi. Se poi loro trattano male le donne, picchiano i bambini, tagliano le mani ai ladri, noi gli possiamo dire che questo ci fa schifo. Ma non vedo come possiamo noi cambiare questa cultura se non con l’isolamento. E ogni qual volta si dirigono contro di noi, con una punizione. Solo che questo non piace ad esempio a noi europei. Una delle ragioni per cui il modello di guerra è evoluto verso la ricostruzione del Paese e della democrazia, è anche su insistenza di noi europei che volevamo essere dalla parte degli “angeli”, se dovevamo intervenire in Afghanistan. E quanto più eravamo angelici, meglio era. Solo che gli angeli stanno in cielo, non stanno in Afghanistan.

Mentre la bandiera bianca sventola su Kabul, l’Europa teme una “invasione” di profughi afghani…
Io credo che sarà molto difficile una invasione di profughi afghani. Perché sono molto lontani dall’Europa e non è facile per loro andarsene a questo punto. I numeri non saranno molto grandi. Devono comunque essere filtrati attraverso l’Iran e la Turchia, che sono i due principali canali d’ingresso. Il vero problema è per l’Iran che ha un forte numero di profughi. E potrebbero esserci problemi per il Turkmenistan, il Tagikistan, per quelli che hanno la stessa etnia e che dovrebbero fuggire in quelle aree. In Europa abbiamo il problema di quelli che collaboravano con noi e che sarebbe decente accogliere e non lasciare alle vendette locali. Questi rifugiati hanno tutto il diritto di venire da noi. Prima abbiamo garantito loro l’uscita dal tribalismo e ora li stiamo lasciando nelle mani di quella stessa realtà, che minaccia la vita di molte persone. Lasciarli ai loro carnefici, sarebbe un crimine.

Per tornare al futuro dell’Afghanistan. Lei in precedenza ha parlato di una società tribale, composta da diverse etnie. Ma i talebani sono in grado di unificare quello che nei secoli non è stato unificato?
Questo era quello che loro sostenevano di voler fare fin dall’inizio. Ma fin dall’inizio non aveva funzionato perché i talebani sono quasi tutti di etnia pashtun. Questo non alimenta la fiducia degli altri. In teoria, l’Islam dovrebbe unificare tutti i credenti in Allah. Ma non mi pare che funzioni così.

La metto giù molto brutalmente. L’Afghanistan è considerato, nella storia, il “cimitero degli imperi”. È anche il “cimitero” della Nato?
La Nato ha fatto una ben magra figura. Non solo perché è stata coinvolta in questa sconfitta, ma perché in realtà non ha avuto nulla da dire in tutto questo periodo. Non è stata quasi consultata. È stata al più informata. Questo, secondo me, è una responsabilità in primo luogo dei Segretari generali dell’Alleanza che si sono appecoronati agli americani. Ma è una responsabilità anche dei governi europei che non hanno rivendicato il ruolo del Consiglio atlantico. Probabilmente perché nessuno poi sapeva bene cosa dire o cosa fare, o aveva paura che gli americani dicessero: allora assumetevi più responsabilità. Il risultato è stato molto mediocre. Non è che la vicenda afghana metta in crisi la Nato in quanto tale, la mette in crisi in quanto strumento di proiezione della forza al di fuori della sua area (Articolo V). A questo punto uno si deve domandare che senso ha coinvolgere la Nato se è semplicemente per farle fare la portatrice d’acqua.