Un teatro che si fa sociale
Teatro Sociale di Como: aperto al mondo per esportare arte e cultura
Da oltre un decennio a Como si sta sviluppando l’idea di opera partecipata. Ce ne parla Barbara Minghetti, che del Teatro Sociale di Como è direttrice della programmazione e dei progetti speciali.

Un teatro che si fa sociale. Questo non soltanto nel nome, ma anche di fatto, aprendo le porte alla città che l’ospita e diventandone parte attiva. Uscendo dalle sue quattro mura, per portare anche al di fuori l’arte, la bellezza, la partecipazione dei cittadini.
A raccontare questa esperienza è Barbara Minghetti, che del Teatro Sociale di Como è direttrice della programmazione e dei progetti speciali. Proprio a inizio luglio il Sociale ha rappresentato un’Aida tutt’altro che consueta, con un coro composto da volontari che per tutta la stagione precedente ha lavorato affinché potesse essere davvero una esperienza unica, capace di rompere gli schemi con cui – di consueto – si è soliti guardare alla lirica.
«Il teatro – dice Minghetti – deve essere una casa davvero aperta a tutti; le attività teatrali e liriche, in questo senso, possono e debbono diventare strumenti per lavorare sui temi sociali, ambiti nei quali lo Stato, gli enti territoriali e le amministrazioni comunali spesso faticano ad arrivare. C’è bisogno di un deciso cambio di mentalità e di leggi. I teatri, infatti, si appoggiano a norme di tantissimi anni fa, che non consentono programmazioni differenti rispetto alle pur importanti stagioni fatte di un lungo elenco di titoli. Come lo sport, anche la cultura e il teatro in particolare possono diventare un principio aggregativo, un elemento di inclusione, di accessibilità democratica e di partecipazione collettiva».
Da oltre un decennio a Como si sta sviluppando l’idea di opera partecipata. Nell’esempio appena citato, duecento e più amatori hanno lavorato un anno intero, imparato la musica, conosciuto i luoghi di Giuseppe Verdi e assaporato l’Aida di altri teatri. Un coro eterogeneo per età, provenienza geografica e interessi, capace di commuovere gli spettatori e di dare davvero l’idea di un teatro fatto insieme. Nessuno, beninteso, intende scalzare il professionismo dai palinsesti, anzi. Di fatto però affinché il teatro si apra davvero al mondo e non si trasformi in un luogo di nicchia c’è bisogno di «andare fuori» come ama ricordare la direttrice Minghetti. Questa immagine, peraltro, ben si sposa con pubblici differenti e, soprattutto, con le diverse età dei fruitori, nessuna esclusa.
Opera White, l’ultima nata, ne è un esempio. «Andiamo nelle case di riposo, chiacchieriamo con gli anziani, raccontiamo loro la storia, facciamo ascoltare l’opera e proponiamo piccoli esercizi, anche fisici, per viverla. Entrare in una Rsa – prosegue – e sentir cantare il Flauto magico non può che commuovere. Quando è capitato a me, gli ospiti si stavano allenando per lo spettacolo aperto a parenti ed esterni che avrebbero fatto con gli artisti che li seguono nel progetto. Anche questo, insomma, è teatro, è comunità, è legame con il territorio».
Per gli Under 30 Opera Crime dà addirittura la possibilità ai presenti in sala di ribellarsi all’autore, scegliendo attraverso i propri smartphone il finale dello spettacolo. Le regie sono giovani, c’è voglia di sperimentare, di stare sempre all’avanguardia, di usare al meglio la tecnologia. C’è la consapevolezza, insomma, che sebbene il Sociale sia dal 1996 ai massimi livelli nazionali grazie a quell’Opera Educational che ha portato oltre 140mila giovani e giovanissimi a scoprire la lirica, per essere davvero per tutti il teatro ha la necessità di diventare parte attiva della società che lo circonda.
Progetti molto diversi che iniziano con i percorsi per gli studenti nelle scuole, coinvolgono la formazione degli insegnanti, si sviluppano con materiali, tutorial e dispense così che i ragazzi arrivino in teatro a vedere lo spettacolo preparati e possano partecipare attivamente dopo aver letto, giocato, disegnato, drammatizzato e imparato ciò che andranno a vedere. Un modo per affrontare anche tematiche di stretta attualità in una forma del tutto differente dall’usuale.
Il teatro diventa lo strumento per legare i temi storici alla contemporaneità. Grazie alla Carmen, per esempio, si è lavorato con i ragazzi sulla violenza di genere coinvolgendo Save the children. Col supporto di Legambiente è stato affrontato il tema dell’inquinamento delle acque del mare a causa della plastica. Si può fare, insomma, ma se ci fossero precisi strumenti normativi potrebbe diventare un modello replicabile. Dal Sociale di Como l’appello è quello di guardare al teatro come a un’opportunità da sostenere, non come a elemento storico da conservare e basta. Oltre ad aprire le porte, è importante che il teatro stesso esca dalla sua casa, integrandosi appieno col territorio di cui è parte.
Teatro e terzo settore – questa la sintesi – possono e debbono lavorare assieme. Per questo è fondamentale mettere insieme chi conosce le fragilità per dare, grazie all’unione delle forze, piccole ed efficaci risposte. Come chiede a gran voce Minghetti, c’è dunque bisogno di una riforma normativa. E, ancora prima, che cultura, welfare, turismo e istruzione dialoghino non tanto perché sono parte di un problema, bensì per lavorare a soluzioni comuni.
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