Indipendentemente da chi sarà il vincitore delle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre negli Stati Uniti, è improbabile che le relazioni turco-americane si allontanino radicalmente dalle dinamiche attuali. Le relazioni tra Ankara e Washington sono mai state esenti da tensioni. Tuttavia, i tumulti geopolitici di questi ultimi dieci anni hanno creato un divario più profondo tra i due alleati della NATO e i problemi nei loro rapporti sono diventati strutturali, principalmente a causa di divergenti priorità e interessi di sicurezza nazionale.
Questioni interne
Il futuro delle loro relazioni dipenderà molto da due questioni: dal destino del sistema di difesa missilistica russo S-400 che Ankara ha acquistato da Mosca, incompatibile con il sistema Nato e dal proseguimento del sostegno degli Stati Uniti ai curdi-siriani. Se i due partner non riusciranno a trovare soluzioni alternative a questi due spinosi problemi, il loro deficit di fiducia si ridurrà notevolmente. Come è noto, le elezioni americane si incentrano soprattutto su questioni interne. Queste presidenziali del 2024 non fanno eccezione, nonostante le due grandi guerre in cui Washington è fortemente coinvolta. Le due guerre, quella in Ucraina e la campagna militare di Israele contro il cosiddetto “asse della resistenza” in Medio Oriente combattuta su più fronti, Gaza, Libano, Yemen, Siria, Iraq e Iran, sono state raramente al centro della competizione elettorale.
L’anticamera
È noto che Trump vuole porre fine alla guerra in Ucraina negoziando con Putin, mentre Harris non vede la necessità di un allontanamento dall’attuale livello di forte sostegno militare a Kiev. Mentre, per quanto riguarda il Medio Oriente, Trump è pronto a sostenere fino in fondo Israele e a far rivivere gli Accordi di Abramo. Harris, invece non sembra avere una posizione netta pienamente a favore di Israele. Sotto una Casa Bianca amministrata da Trump è probabile le relazioni turco-americane continuino su una base assolutamente transazionale, opportunistica e mutevole come è accaduto con la presidenza Biden, durante la quale il leader turco ha dovuto fare sempre anticamera e non ha mai ricevuto un invito ufficiale a incontrare il presidente americano a Washington.
Cosa aspettarsi dal prossimo presidente USA
Erdogan probabilmente vede Trump in modo molto più favorevole, come un uomo forte che risponderà alle sue telefonate e ascolterà le sue opinioni come ha fatto durante il suo precedente mandato. Ma, dovrebbe essere ovvio, che nel caso di una vittoria di Trump le linee di comunicazione che si riaprirebbero con la Casa Bianca non comporteranno l’eliminazione del problema più grande per Erdogan rappresentato dalla cattiva reputazione di Ankara nel Congresso e nella burocrazia della sicurezza nazionale americana per il fatto che il governo turco non si è ancora liberato del sistema di difesa missilistica S-400, che la Turchia ha acquistato durante il primo mandato di Trump. Dunque, non ci dobbiamo aspettare miracoli, ma soltanto un elevato feeling tra due leader molto autoritari e pragmatici. Mentre Trump potrebbe creare false speranze, invece una potenziale amministrazione Harris traccerebbe un percorso più prevedibile, distante e apparentemente più basato su principi con Ankara, su ipotesi realistiche e aspettative ridotte. Un reset a livello di rapporti tra presidenti sarà poco probabile, poiché Kamala Harris sembra che voglia muoversi nei rapporti con Ankara in continuità con l’indifferenza mostrata da Biden verso Erdogan. Tuttavia potrebbe esserci un cambiamento positivo nel quadro delle loro relazioni transazionali, ma ciò richiederebbe comunque alcune modifiche nel possesso da parte di Ankara dei sistemi di difesa missilistica russi S-400, nel sostegno retorico di Erdogan ad Hamas e nelle relazioni turbolente che la Turchia continua ad avere con la Grecia, nonostante recenti modesti miglioramenti. In assenza di tali progressi, non dovremmo aspettarci più di quanto non vi sia ora nelle relazioni turco-americane sotto un’amministrazione Harris.
Quale che sia il prossimo presidente Usa, due fattori potrebbero rivelarsi di importanza decisiva nel plasmare le dinamiche nel breve termine. Il primo e più probabile sarà una decisione americana di ritirare le truppe dall’Iraq. Una decisione del genere è in fase di sviluppo da un po’ di tempo e le attuali dinamiche relative a Iran e Israele potrebbero renderla più difficile. In caso di ritiro americano dall’Iraq, sarà quasi impossibile per il Pentagono mantenere una presenza nella Siria settentrionale. Il Pentagono ha circa 900 forze speciali a supporto di un’entità curda-siriana nello sforzo di contenere il rischio di una rinascita dell’Isis. Ankara considera questo gruppo curdo, il PYD, come la diramazione siriana del PKK, che è designato come organizzazione terroristica sia dalla Turchia che dagli Stati Uniti. Washington sostiene che il PYD non ha mai attaccato la Turchia ed è incorporato nell’entità più ampia delle Forze democratiche siriane, la formazione militare dimostratasi più efficiente nella guerra contro l’Isis in Siria.
La maggior parte dei politici americani ha sentimenti contrastanti sulla cooperazione tra Stati Uniti e Curdi in Siria, principalmente perché in fondo conoscono e comprendono la natura organica delle relazioni tra PKK e PYD. Sono anche perfettamente consapevoli che la percezione turca sopra menzionata della cooperazione americana con il terrorismo curdo è al centro del deficit di fiducia di Ankara con Washington. Qualsiasi cambiamento di politica su quel fronte, come una decisione americana di ritirare completamente le forze dalla Siria, avrà dunque conseguenze nelle relazioni turco-americane.