Mosca mantiene una forte pressione sulla Serbia e sui serbi in Kosovo. Questa è la ragione per cui la questione delle targhe serbe in Kosovo, che ha infiammato il fine settimana lungo il confine serbokosovaro, non è rimasta una questioncina locale.

Con la guerra in Ucraina in corso, esiste il timore che quella scaramuccia possa diventare il casus belli per aprire un nuovo scampolo di guerra mondiale in Europa. La tensione si è alzata dopo che Mosca ha accusato l’Unione europea e gli Stati uniti di aver fomentato gli animi, e dopo che la Nato si è detta pronta a intervenire. I serbokosovari sono il 5% dei quasi due milioni di abitanti del Kosovo, ma sono la maggioranza nel nord dell’ex provincia serba proclamatasi indipendente nel 2008. Belgrado, così come anche Mosca e Pechino, non ha mai riconosciuto l’indipendenza di Pristina e non è intenzionata a farlo.

Cos’è successo finora? Il governo kosovaro aveva annunciato l’applicazione immediata del divieto di usare le targhe serbe. Tutte le automobili serbe in entrata, aveva detto, devono avere targhe provvisorie della durata di tre mesi con su scritto “Repubblica del Kosovo”. Pristina ha spiegato il provvedimento con la necessità di adottare una norma di reciprocità perché Belgrado non permette alle auto che entrano di esporre targhe kosovare. Da oltre dieci anni la Serbia autorizza l’entrata di mezzi kosovari solo se espongono una targa serba temporanea.

Il braccio di ferro delle targhe non è nuovo. E’ in corso fin dalla fine della guerra del 1998-1999, finita dopo undici settimane di bombardamenti della Nato sulla Serbia, bombardamenti che portarono al ritiro delle forze serbe, lasciando il Kosovo, a maggioranza albanese, sotto la tutela delle Nazioni Unite, fino al 2008. La dissepoltura nel fine settimana scorso del conflitto sulle targhe ha suscitato la reazione serba e quella dei serbokosovari. Domenica scorsa camion e mezzi pesanti vari sono stati messi, apparentemente per iniziativa di cittadini serbi, a bloccare il traffico verso due passi di frontiera per protesta contro il bando alle targhe emesse da Belgrado. I passi di confine sono stati chiusi.

Dopo mezza giornata di escandescenze diplomatiche, qualche sparo a vuoto su posti di polizia di frontiera kosovara e soprattutto dopo l’invio al governo kosovaro di dettagliate raccomandazioni da parte dell’ambasciatore americano a Pristina che suggeriva di rimandare l’applicazione del divieto per evitare guai peggiori con Belgrado, il governo del Kosovo ha rinviato di un mese l’entrata in vigore delle nuove norme.

Da notare che Pristina ha detto di voler applicare l’obbligo di targhe kosovare mentre l’inviato speciale per il dialogo tra Kosovo e Serbia, Miroslav Lajcak, era a Belgrado. L’impressione è che sia Belgrado sia Pristina vogliano incrinare l’assai precario quadro kosovaro proprio mentre si sgretola la prospettiva di una integrazione dei Balcani in Europa. L’accelerazione dell’ingresso di Kiev nell’Unione europea ha tra i suoi possibili effetti anche il terremoto politico nei Balcani parcheggiati in lunga sosta ad aspettare un futuro europeo che per loro non arriva mai. Belgrado e Pristina sono sull’orlo dello scontro da anni.

Questo il tono delle dichiarazioni dei protagonisti della crisi prima dell’annuncio del rinvio dell’applicazione del divieto (che non risolve il problema, lo rimanda appena):
Albin Kurti, capo del governo kosovaro: «Le prossime ore, i prossimi giorni, le prossime settimane potrebbero essere molto problematiche». Il presidente serbo Aleksander Vulcic in tv mostrando una mappa del Kosovo coperto dalla bandiera serba: «Noi preghiamo per la pace, ma se maltratteranno e uccideranno i nostri fratelli, la Serbia reagirà».
La portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova: «Pristina, gli Stati Uniti e l’Unione europea devono porre fine alle provocazioni».

Dmitry Peskov, portavoce di Putin: «Naturalmente, sosteniamo assolutamente la Serbia. Siamo vicini ai serbi del Kosovo. Crediamo che le richieste delle autorità del Kosovo siano richieste assolutamente irragionevoli. Quei paesi che hanno riconosciuto il Kosovo e hanno agito come garanti, dovrebbero usare tutta la loro influenza per mettere in guardia le autorità del Kosovo dal prendere qualsiasi misura sconsiderata che potrebbe portare a un’ulteriore escalation».

La forza internazionale Kfor a guida Nato (3500 soldati): «Controlliamo da vicino la situazione al confine tra Kosovo e Serbia siamo pronti ad intervenire in base al suo mandato, sancito dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, se la stabilità viene messa in pericolo». Media locali riferiscono che prima della decisione del rinvio si sono visti militari della Kfor pattugliare le strade di confine. Il capo di stato maggiore dell’esercito del Kosovo, Blerim Vela, ha accusato Belgrado di far circolare notizie false con una tecnica di «ripetizione da manuale delle indicazioni di Putin».