L’Accordo sui minerali rari fra Stati Uniti ed Ucraina in cambio della prosecuzione dell’assistenza americana a Kiev in materia di intelligence e tecnologia per la difesa non è l’unico esempio di “trade-off” fra risorse naturali e minerarie da un lato, e protezione militare dall’altro. Anche se in maniera meno eclatante, questo tipo di scambio è all’ordine del giorno nel Continente africano, in forme nuove e più articolate rispetto ai precedenti della Guerra Fredda del secolo scorso. In un’epoca in cui circa la metà dei Paesi africani patisce gli effetti di guerre interne, attacchi dalle formazioni terroristiche, tensioni ai confini con gli Stati limitrofi, diffusa criminalità, è abbastanza naturale che i leader del Continente cerchino protezione dai grandi Attori internazionali per risolvere i propri problemi di sicurezza. Essi chiedono armi, soldati mercenari, droni, e tecnologia d’avanguardia, offrendo in contropartita le risorse naturali e strategiche di cui dispongono: in particolare, diritti di sfruttamento delle terre rare, altre ricchezze del sottosuolo più “tradizionali”, come gas e petrolio, o siti di speciale interesse per il controllo dei traffici globali.

La situazione in Sudan

Mentre negli anni passati la contrattazione sulle risorse naturali africane avveniva con lo scopo dichiarato dello sviluppo economico, oggi i Capi di Stato e di Governo del Continente non fanno mistero del fatto che la loro priorità è costituita dal settore militare, per il controllo del loro territorio, in condizioni di crescente fragilità. È notizia di questi giorni che in Sudan, Paese martoriato negli ultimi due anni da una sanguinaria guerra civile, entrambi gli eserciti in conflitto- Sudanese Armed Forces del Generale Burhan, e Rapid Support Forces del suo rivale Hemetti- hanno ricevuto e continuano a ricevere rispettivamente da Turchia, Iran e Russia da un lato, e dagli Emirati Arabi Uniti dall’altro forti sostegni, specialmente sotto forma di droni da combattimento e da ricognizione. In mancanza di liquidità immediata, i materiali bellici vengono pagati con diritti di estrazione dalle miniere d’ oro, rame ed argento sudanesi. Nel caso del sostegno militare russo al Generale Burhan, la contropartita è anche la promessa di una base navale di Mosca nei pressi di Port Sudan, sul Mar Rosso (obiettivo perseguito nel Paese anche dagli Emirati, attraverso il sostegno alle milizie antagoniste RSF); per il pagamento dei droni turchi, oltre alle risorse minerarie menzionate, il compenso proposto è lo sviluppo del porto di Abu Amama, sul Mar Rosso.

Il precedente

Un analogo precedente, passato nell’indifferenza generale, fu costituito dalla guerra civile etiopica in Tigray (2020-2022, con preoccupanti strascichi ancora oggi), quando il Premier etiope Abiy ricevette droni da combattimento da Iran (del tipo Mohajer-6), Cina (Wing Long I, trasportati in Etiopia con numerosi voli cargo degli Emirati), e soprattutto Turchia (i TB2 Bayraktar), che gli consentirono di sbaragliare definitivamente la ribellione tigrina; il pagamento dei droni avvenne verosimilmente, grazie ad accordi segreti, con diritti di sfruttamento delle miniere d’oro del Paese, visto che Addis Abeba ha un rilevante problema di liquidità, causa del successivo default finanziario. Di stringente attualità anche la disponibilità manifestata alcune settimane fa dal Presidente della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, a scambiare le abbondanti risorse del sottosuolo congolese (cobalto, coltan, rame, oro, tungsteno, litio, uranio) per un impegno degli Stati Uniti a difendere l’integrità della RDC, sotto attacco dal vicino Rwanda attraverso le milizie denominate M23, che avanzano in tutto il nord est del Paese, devastando territori e popolazioni locali nelle regioni del Kivu e dell’Ituri.

In realtà, l’appello di Tshisekedi all’Amministrazione Trump è di comprare direttamente dalla RDC, e non dal vicino Rwanda che saccheggia le risorse minerarie congolesi, le terre rare e i materiali strategici di cui il Paese è ricco, pur figurando fra i più malandati del Continente in termini di reddito pro-capite. Come accennato, il Governo di Kinshasa cerca da Washington assistenza militare ed equipaggiamenti per la Difesa sia in funzione anti-rwandese, sia per arginare le ribellioni in corso del movimento M23 e delle oltre cento milizie separatiste fuori controllo nel nord-est dell’ex Zaire. Finora è stata la Cina, oltre al Rwanda, ad accaparrarsi le terre rare congolesi attraverso una serie di contratti minerari formali ed informali, orientati a soddisfare l’insaziabile domanda delle industrie cinesi di materiali strategici per le moderne tecnologie.

L’ Amministrazione Trump sta valutando seriamente la proposta del Presidente Tshisekedi, anche nella prospettiva di ridurre la forte influenza di Pechino in tutta la regione dell’Africa australe. Un forte impulso al baratto fra terre rare e armamenti si ebbe fra il 2020 ed il 2023 nell’area del Sahel, quando si verificò una serie impressionante di colpi di Stato militari in Mali, Burkina Faso, Guinea e Niger, con il contemporaneo allontanamento della Francia da tutta quell’area strategica, la cancellazione degli accordi di collaborazione militare con Parigi, e la richiesta in parallelo di un immediato sostegno delle truppe mercenarie della società russa Wagner, sotto il comando di Evgenij Prigozhin, passato a miglior vita, ma allora uomo forte di Putin nel Continente.

(continua nella prossima puntata)