Terre rare, metalli e materie prime critiche rappresentano uno dei più complessi e fondamentali teatri di scontro della sfida tra le grandi potenze. Il motivo è semplice: in un’era altamente tecnologica, gran parte di questi elementi è indispensabile per tutte le società più industrializzate e moderne, tanto in campo civile quanto in ambito militare. La loro crescente importanza contrasta però con il dato della loro presenza nel mondo, per cui molto spesso alcuni di questi elementi sono in quantità ridotte oppure solo in determinati Paesi.

Ed è su questa particolare condizione che si gioca una battaglia che può essere decisiva per il presente e soprattutto per il futuro. Tanto più se una superpotenza, la Cina, è da tempo inserita nel mercato di alcune materie strategiche costituendo un monopolio di fatto da cui dipendono i suoi maggiori rivali. Alcune notizie delle ultime settimane aiutano a comprendere l’importanza di questo nuovo campo di battaglia, e confermano tendenze già viste in questo decennio. Il ministero del Commercio cinese ha annunciato la riduzione dell’export di due metalli: gallio e germanio.

Elementi che possono apparire sconosciuti rispetto alle materie prime o ai metalli noti per le loro implicazioni strategiche, ma che sono essenziali soprattutto in campo militare, al punto che la Commissione Europea li considera “minerali critici”. La mossa cinese è apparsa immediatamente come una ritorsione per l’annuncio dei Paesi Bassi di unirsi all’embargo alla Cina sull’export delle “superstampanti” di microchip. Un blocco di cui già fanno parte Giappone e Stati Uniti e che, secondo alcuni osservatori, è il primo avvertimento dell’Occidente nei confronti di Xi Jinping e della sua partnership con la Russia.

Bruxelles non ha nascosto il suo disappunto né la sua paura per quanto deciso dalla Repubblica popolare, e una volta analizzati i provvedimenti, si è riservata il diritto di adire l’Organizzazione mondiale del commercio per denunciare eventuali illegittimità di questa azione. Per il Vecchio Continente, però, al netto delle eventuali mosse legali, la questione resta particolarmente seria, poiché come confermato dalla stessa Unione europea, non solo gallio e germanio sono essenziali per molti settori strategici della nostra industria, ma l’Europa è anche drammaticamente dipendente da un unico fornitore. Che appunto è Pechino. Il governo cinese ha ribadito che questa scelta, che si sostanzia nella riduzione delle esportazioni e nell’aumento dei controlli sull’uso dei minerali ceduti, rientra nella salvaguardia della sicurezza nazionale.

Ma è chiaro che questo faccia parte di una sfida più ampia che può essere sintetizzata in una nuova Guerra fredda combattuta sulle materie critiche. Tanto è vero che dalle colonne del tabloid internazionale del Partito comunista cinese, il Global Times, il provvedimento del ministero del Commercio è stato definito «un avvertimento» a Stati Uniti e alleati. Il conflitto c’è, inutile nasconderlo, e lo si vede anche da altre mosse. A fine giugno, la Bolivia ha annunciato che la cinese Citic Guoan e la russa Uranium One Group si uniranno alla Yacimientos de Litio Bolivianos per produrre carbonato di litio. Sul tavolo un miliardo e mezzo di investimenti, e un’ulteriore testimonianza dell’importanza di questo minerale.

Considerato il “petrolio del futuro”, il litio è la base per quel pilastro dell’agenda occidentale che è la transizione ecologica. Gli Stati Uniti, intanto, provano delle contromosse per rafforzare le alleanze su questi minerali. Il Dipartimento di Stato ha annunciato un accordo con la Mongolia per una «catene di fornitura di minerali critici sicure e resilienti». Ma potrebbe essere solo un piccolo (primo) passo. E l’Europa? Tra restrizioni sull’estrazione e difficoltà ad agire in blocco, l’Ue è in una condizione pericolosa. Il continente dipende quasi totalmente dall’esterno. E dipendere da altri attori, per giunta rivali sistemici, non è mai una situazione da sottovalutare.