Aya era ancora attaccata al cordone ombelicale della madre quando l’hanno trovata, in mezzo alle macerie, nella città di Jinderes, in Siria, devastata anche questa dal terremoto che ha colpito Turchia e Siria nella notte tra domenica 5 e lunedì 6 febbraio. L’hanno chiamata Aya perché vuol dire “miracolo, segno di dio”: sarebbe rimasta sotto le macerie per oltre dieci ore dopo che la madre è morta come il padre e quattro fratelli, una famiglia distrutta dal sisma. A darle quel nome uno zio del padre, Salah al-Badran, unico parente rimasto in vita della famiglia della piccola.

Decine le chiamate arrivate all’ospedale di Afrin, nella provincia di Aleppo, dopo gli articoli che hanno reso la storia di Aya nota in tutto il mondo: tantissimi vogliono prendersi cura della neonata, adottarla. “Non permetterò a nessuno di adottarla ora. Fino al ritorno dei suoi parenti, la tratterò come una della mia famiglia”, ha commentato il direttore dell’ospedale Khalid Attiah. Le condizioni della piccola sembrano essere in miglioramento secondo quanto scrive BBC citando fonti dell’ospedale. La neonata è stata scoperta dai soccorritori che hanno trovato la madre, Abu Ahadiya, morta, sepolta sotto le macerie. La figlia sarebbe nata qualche ora prima, immediatamente soccorsa nell’ospedale di Afrin.

La casa della bambina è andata completamente distrutta nel terremoto così come quella del prozio. “Dopo il sisma qui sono rimaste in piedi soltanto il 10% delle case”, ha spiegato Salah al-Badran attraverso dei messaggi vocali all’agenzia di stampa Ap. Con gli undici membri della sua famiglia è riuscito a salvarsi ma ora vive in una tenda. Il bilancio delle vittime continua ad aggravarsi ora dopo ora, salito a 21.719 nell’ultimo aggiornamento: 18.342 i morti in Turchia, 3.377 in Siria. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), organizzazione non governativa con sede a Londra ma con una vasta rete di fonti sul campo, le vittime sono almeno quattromila.

Save The Children ha denunciato che sono milioni i bambini, nella Siria nord occidentale, ad avere urgente bisogno di cibo, riparo e vestiti pesanti. “La situazione in tutta la Siria nordoccidentale è come nessun’altra crisi al mondo in questo momento. Dalla perdita di membri della famiglia a quella della casa, alla mancanza di cibo e acqua pulita, gli effetti a catena di questo disastro hanno colpito ogni singolo bambino– ha dichiarato Kathryn Achilles, direttore Advocacy, Media and Comunicazione di Save the Children Siria– I camion delle Nazioni Unite in arrivo nel Nord-Ovest forniranno un’assistenza vitale ai bambini e alle famiglie colpiti, ma rappresenta solo la punta dell’iceberg di quelli che sono i bisogni reali. Sono necessari ulteriori sforzi per garantire che tutti i bambini ricevano l’assistenza di cui hanno disperatamente bisogno”. L’Unicef sta svolgendo un monitoraggio sugli orfani di genitori dispersi o morti, cercando di fornire loro cibo, abiti e medicine in coordinamento con le strutture ospedaliere nel tentativo di metterli in contatto con dei familiari.

Circa 120 le città e i villaggi della Siria centrale, nord-occidentale e occidentale colpite dal sisma. Si continua a scavare, nella consapevolezza che il bilancio è destinato a salire ma anche con la speranza di salvare in extremis altre vite. Le operazioni di soccorso sono complicate da diversi fattori: le aree colpite dal sisma sono densamente popolate, le temperature invernali in questi giorni sono rigidissime con le minime al 1-2°C, sempre il freddo rallenta le operazioni. La maggior parte delle persone si trovava in casa al momento della scossa che ha inaugurato lo sciame sismico, alle 4:00 del mattino. I soccorritori devono dunque cercare e scavare casa per casa. Anche a mani nude. Spesso manca il riscaldamento e l’elettricità, le persone rimaste senza casa sono costrette a passare giorni e notti in rifugi di fortuna. Gli ospedali sono sovraffollati, mancano personale e strumenti per far fronte all’emergenza.

La situazione è ulteriormente difficile in Siria: da oltre dieci anni è in corso una guerra civile che contrappone il governo di Damasco, del presidente Bashar Al Assad, e un’altra parte spesso eterogenea se non totalmente frammentata definita in sintesi dei “ribelli”. Proprio nel nord-ovest della Siria alcune porzioni di territorio sono occupate dai ribelli e sono già di per sé difficilmente raggiungibili. Di solito le aree erano raggiungibili passando dal sud della Turchia che però in questo momento è devastato dal terremoto. Dati e informazioni da queste parti sono da considerarsi ulteriormente parziali. Assad ha già ribadito più volte di voler gestire lui gli aiuti umanitari destinati alla Siria, compresi quelli da inviare nelle zone a lui ostili. Le Nazioni Unite hanno confermato giovedì mattina l’arrivo nel nord-ovest del primo convoglio umanitario.

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