Quello che ha vissuto la Romania è un vero e proprio terremoto politico. Uno shock secondo tutti gli esperti, visto che nessuno si aspettava una vittoria così rotonda (per quanto al primo turno) di Calin Georgescu, l’uomo di 62 anni che, dall’ultradestra, guida il fronte più critico verso gli aiuti all’Ucraina e verso l’appartenenza di Bucarest alla Nato. Con il 22,9 per cento dei consensi, quello di Georgescu è stato un vero e proprio tsunami. Qualche sondaggio prima del voto lo dava sotto il 10 per cento, altri addirittura al cinque. Nessuno poteva pensare che avrebbe surclassato tutti, anche colei che è arrivata seconds e che avrebbe anche attirato i voti dell’altro candidato della destra radicale, George Simion, leader di Alleanza per l’Unità della Romania.
Lo scenario
E adesso, se il secondo turno apre scenari impensabili fino a pochi giorni fa, la domanda che bisogna porsi è cosa può significare questa tornata elettorale non solo per Bucarest, ma per tutta l’Europa. Per molti osservatori, quello di domenica è stato soprattutto un voto di protesta. Un voto anti-establishment che si è stretto intorno a un uomo estremamente noto sui social, in particolare su TikTok, e che ha incanalato la rabbia di chi è soprattutto contro l’attuale governo del primo ministro Marcel Ciolacu (arrivato terzo con i suoi socialdemocratici e quindi escluso dal ballottaggio) e contro la presidenza di Klaus Iohannis. I suoi voti, sommati a quelli per Simion, lasciano intendere che la frustrazione rumena si è spostata a destra, molto a destra. Una rabbia popolare e populista che però ha un inevitabile effetto anche in chiave europea.
Il segnale per il Vecchio Continente
A differenza di altri Paesi dell’area, come l’Ungheria di Viktor Orban o la Slovacchia del premier Robert Fico, la Romania era apparsa in un certo senso immune da cambi repentini della propria politica estera. E questo nonostante l’ascesa del movimento ultraconservatore di Simion, il quale, anzi, è arrivato al quarto posto probabilmente anche per la volontà di non apparire troppo radicale. E adesso, in vista del ballottaggio tra Georgescu e Lasconi, che è stata già contattata dall’attuale premier, è chiaro che la somma dei voti della destra radicale è un segnale per tutto il Vecchio Continente.
Campanello d’allarme per Bruxelles
Si può parlare di vento dell’est che soffia sull’Europa? I risultati del ballottaggio che si terrà l’8 dicembre sicuramente daranno un’indicazione importante, visto che Lasconi, del partito Usr di centrodestra, è fortemente legata al blocco occidentale, sostiene la necessità di non abbandonare Kiev al proprio destino e guarda anche con attenzione al modo con cui attirare i voti socialdemocratici. È chiaro però che per l’Europa il segnale che arriva da Bucarest fa capire che qualcosa sta cambiando nell’approccio alla Russia e alle politiche atlantiche. E con l’arrivo di altre elezioni-chiave nel 2025, la Romania può essere un campanello d’allarme per Bruxelles. In Germania, dove si voterà il prossimo febbraio, l’estrema destra di Alternative für Deutschland è al momento saldamente seconda nei sondaggi. E non è un mistero che a Berlino il tema del sostegno a Kiev e la frattura della tradizionale partnership con Mosca sia un tema che infiamma da mesi se non anni) il dibattito pubblico, tanto che anche a sinistra si è vista l’ascesa dei “rossobruni” di Sahra Wagenknecht.
Si voterà l’anno prossimo anche per il rinnovo del parlamento della Repubblica Ceca. E anche lì i movimenti populisti sono molto forti. E se il vento dell’est inizia a prendere piede fino a lambire la cancelleria di Berlino, qualcosa cambierà inevitabilmente anche nei rapporti con Washington e con Mosca. Molti dei leader che sgomitano in questi Stati hanno visioni positive sia del prossimo presidente Usa Donald Trump, sia di Vladimir Putin. E secondo molti analisti, sarà interessante capire quanto potranno convergere le due spinte verso Est e verso Ovest. Due movimenti opposti che però hanno una matrice comune, la forza centrifuga.
Le fragilità
Si guarda a rapporti con leader e superpotenze al di fuori dei confini europei. E con leadership sempre più fragili all’interno delle tradizionali potenze Ue, gli schemi politici possono cambiare eccome. Alcuni Paesi si sono ormai consolidati come vere forze antirusse e sempre più centrali nei giochi continentali. Uno su tutti la Polonia. Il Gruppo Visegrad, dopo le divergenze sull’Ucraina, è ormai un ricordo. Francia e Germania arrancano. E su queste fragilità, le grandi potenze al di fuori dell’Ue possono inserirsi come coltello nel burro.