Sui social la 19enne figlia del dittatore chiede di escludere le aree in mano agli oppositori del governo del padre: “Per favore — scrive Zein sul suo account Instagram —, attenti a quelli a cui donate. Questo è un gruppo che sostiene terroristi a Idlib. Le donazioni non andranno ad Aleppo, a Latakia o a Hama”, che invece sono in aree sotto il governo di Bashar al-Assad.

Dodici anni di guerra hanno creato enormi campi profughi e città di cartone che l’esercito siriano di al-Assad poche ore dopo il sisma, quando ancora si levavano colonne di polvere dalle case distrutte e mentre si scavava a mani nude per tirare fuori cadaveri e feriti, ha bombardato con raid e cannonate su Marea, 25 km a nord di Aleppo. “Un attacco davvero insensibile e atroce”, denuncia il governo inglese che prosegue con la voce del ministro degli Esteri, James Clevergy: “Attacchi del tutto inaccettabili, il metodo di comportamento d’un regime che ben conosciamo”.

Zein al-Assad, che ha sempre vissuto a Londra con la madre Asma e frequentato costose scuole, in un post lancia senza pietà il diktat citando un link di raccolta fondi per i terremotati di Idlib, una delle città più colpite e però controllate dai ribelli. In una Turchia nel caos che ha chiuso le frontiere e, in questo momento, non può pensare a far passare i soccorsi diretti nel paese vicino, la comunità internazionale è paralizzata dalle sanzioni imposte ad Assad, incapace d’entrare in un’emergenza catastrofica.

Ci sono almeno 250 villaggi rasi al suolo, decine di campi profughi devastati, 400 località colpite, in ginocchio Aleppo, Hama, Latakia, Idlib. C’è una cittadina, Harem, che conta un morto ogni venti abitanti. E Jeindreis, 25 mila persone e più di mille vittime. “Sospendere le sanzioni, consentire i soccorsi a chiunque, lealisti e oppositori, arabi e curdi, musulmani e cristiani” è quello che chiedono i pochi presenti nelle zone più colpite come il nunzio apostolico Mario Zenari, Sant’Egidio e qualche missionario, o i volontari della Mezzaluna rossa.

Circa 5 milioni di persone, metà delle quali già sfollate durante la guerra, annaspano in una regione balcanizzata controllata dalle milizie filoturche, dai soldati di Assad, da gruppi jihadisti o iraniani. L’unica frontiera aperta agli aiuti era quella di Bab al-Hana, al confine turco, ora anch’essa sotto le macerie e la neve. Si è messa di traverso anche la Turchia che non consente il passaggio di aiuti non catalogati, non etichettati, non registrati.

Così Bashar al-Assad per bocca del suo ambasciatore all’Onu, Bassam Sabbagh, minaccia: “Tutti gli aiuti verranno distribuiti, ma dovranno prima passare per Damasco”, e il ministro degli Esteri, Faisal Mekdad, intima di togliere le sanzioni. Usare i soldi in arrivo “è impossibile” secondo l’ong Molham, che ha raccolto un milione e mezzo di euro: “Se non si sta con Assad, non si fa nulla”.

Riccardo Annibali

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