«Le scaramucce indeboliscono il governo» rimbrotta Luigi Di Maio ai suoi ex compagni. «Con Draghi il M5S ha preso un impegno e lo mantiene. Lui però ci deve ascoltare di più. Non esco dal governo per un c… di inceneritore», la risposta che gli dà, a distanza il Garante davanti ai parlamentari riuniti. Grillo era a Roma per un doppio appuntamento. Una riunione serrata nel suo ufficio nella Capitale, all’hotel Forum, poi una di quelle cose che proprio detesta: l’assemblea congiunta con i gruppi di Camera e Senato. È, sia chiaro, dalla suite all’Hotel Forum, la sua Berghof, il suo Nido dell’Aquila, che governa quel che del Movimento gli è rimasto fedele.

Da lì, lontano dai palazzi della politica, può fare il punto sulle attività che lo riguardano. A porte chiuse, come piace a loro. In gran segreto. Per constatare l’entità del danno subìto da Di Maio, come si intuisce dal ruolo degli ospiti: Giuseppe Conte e il tesoriere del partito, Claudio Cominardi. Tre ore di faccia a faccia con il primo, un’ora e mezza con il secondo. La divisione dei gruppi taglia il rimborso che finanzia il M5S. Non la consulenza da 300mila euro che Grillo ha stabilito di doversi assegnare. E la macchina contiana costa. Comunicazione in mano a guru e paraguru, sede nazionale di Campo Marzio, spese legali continue. Conte costa e non produce. I ballottaggi fissano per il M5S il minimo storico. I sondaggisti gli attribuiscono un 6,3%, oggi. Ma tende a scendere. E aumentano i fuoriusciti, anche nelle Regioni. In Abruzzo M5S diventa Insieme per il Futuro, in Campania tre dei sei consiglieri, incluso il capogruppo, si trasferiscono con Di Maio al quale i sondaggisti attribuiscono il 4,2%. E la lista sarebbe lunga.

È per questo che Grillo incontra i gruppi. Deve tornare a fare il padre nobile e insieme il motivatore, mostrarsi a bordo campo per una squadra fiaccata e stanca. Il tema caldo rimane il limite del doppio mandato, diatriba che nel Movimento preoccupa i senior e scalda gli animi di tutti. Nella realtà il nodo va sciolto subito: ne va della candidatura di Giancarlo Cancelleri alle primarie Pd-M5S in Sicilia. Il nome del sottosegretario ai Trasporti circola da mesi come possibile candidato. Ma è bloccato dal vincolo che vieta il terzo mandato. Grana che Conte non ha risolto nei suoi primi undici mesi di leadership. Per provare a mettere le mani nel caos che si ritrova, Grillo deve ricorrere all’artiglieria pesante. Chiama il sociologo Domenico De Masi per un caffè al Forum. I ragazzi meravigliosi hanno tutti deluso, che serva anche qualche professore? E poi le donne. Mancano le donne. E Virginia Raggi – contiana, fedele a Grillo, anti-Draghi per antonomasia – sembra offrire la quadratura del cerchio. È nel Comitato di Garanzia di Conte, è rimasta pari grado con Di Maio da ottobre scorso. Con lui fuori, per lei si apre un ventaglio di possibilità.

Grillo la vuole vice-Conte. Una commissaria con pieni poteri, mica per finta. Lei, raggiunta dal Riformista, non conferma e non smentisce. Sono ore complesse. La riunione con i gruppi prosegue fino a tardi. Luigi Di Maio si prende la scena per fare un punto e rispondere alle tante accuse piovutegli addosso dagli ex compagni di partito. «Guardate che agli italiani della regola dei due mandati non gliene frega niente», ha detto il ministro degli esteri in piazza del parlamento. Chiedendo poi di correggere: «Non gli interessa niente». La forma inizia a contare. E si sfoga anche Lucia Azzolina, che lascia il M5S per unirsi ai dimaiani. «Nel M5S ormai c’è falsa democrazia diretta».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.