Chiediamo al professor Giovanni Orsina, storico e politologo, Direttore della School of Governement della Luiss di Roma, un parere sulla ricostruzione di un nuovo terzo polo.
Marattin, Marcucci, Giannino da Milano hanno rilanciato il cantiere del terzo polo. C’è lo spazio politico, tra Forza Italia e il Pd, per un soggetto nuovo?
«Lo spazio politico c’è eccome, ma se la legge elettorale resta questa, o resta maggioritaria, chi si muove in quello spazio dovrà comunque allearsi col Pd e magari anche col Movimento 5 stelle – o con quel che uscirà dal suo processo di trasformazione. Altrimenti il terzo polo resta una forza di mera testimonianza, ma senza alcuna reale possibilità di incidere politicamente. Questo, almeno nel breve-medio termine».
Il suicidio, la dissipazione del terzo polo oggi si deve a Renzi e Calenda per loro demeriti caratteriali o c’è qualcosa di insito nella litigiosità dei liberali italiani?
«I liberali italiani sono notoriamente litigiosi: studiandoli e frequentandoli, ho avuto innumerevoli occasioni di osservare questa loro caratteristica da vicino. Per certi versi, la litigiosità è intrinseca al liberalismo, alla sua valorizzazione dell’individuo, delle sue opinioni, della sua libertà. Dopodiché, le peculiarità caratteriali di Renzi e Calenda un loro ruolo l’hanno pure giocato».
Il nuovo M5S di Conte e il movimento di Vannacci: come li definirebbe, oltre che euroscettici? Qualunquisti?
«È un po’ presto per definirli. Comunque, sulla base di quello che abbiamo visto finora, quello di Vannacci direi che è un movimento di destra plebea, provocatoria e qualunquista. Non uso aggettivi come “estrema” o “radicale” perché voglio prima vedere che cosa c’è sotto il folklore – anche il folklore fascistoide. Il nuovo M5s di Conte mi pare stia cercando una via per collocarsi a sinistra senza perdere alcuni caratteri originari del Movimento che non erano di sinistra. Una via rosso-bruna ma più rossa che bruna, insomma. Non è un caso che abbia aperto il dialogo con Sahra Wagenknecht».
Un soggetto politico liberaldemocratico che nasce nel 2025 in Italia può definirsi anche per antinomia? Come oppositore dei populisti, ad esempio?
«Tutti i soggetti politici possono definirsi per antinomia, la politica è in essenza antinomica – non c’è bisogno di scomodare Carl Schmitt. Dopodiché, definirsi contro i populisti aveva senso nel 2013, oggi non mi pare che ce l’abbia più. Quella stagione è finita, il populismo si è in parte sgonfiato, in parte è penetrato ovunque, in parte ha occupato le istituzioni. I barbari sono stati romanizzati, un programma di opposizione alle invasioni barbariche, oggi, a che cosa servirebbe?»
La leadership del nuovo partito è da costruire. Ci sono leader nati, o leader si diventa? Nella politica di oggi quanti sono nati per caso?
«Marzullianamente: ci sono leader nati, ma leader si diventa anche. Il problema, oggi, mi pare sia quello di attirare l’attenzione, in un Paese stanco, sfiduciato, distratto, nel quale la metà degli elettori si astiene. Devono aprirsi dei nuovi spazi, deve rimettersi un po’ in moto il quadro politico, ma non mi sembra che per il momento ci siano grandi segni di apertura».