Si è già detto dell’impossibilità di condurre tamponi su tutta la popolazione per verificare una possibile positività al coronavirus. Perciò in vista della cosiddetta “fase 2“, quella di riapertura graduale, come descritta in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, giocheranno un ruolo fondamentale i test sierologici. Lo ha confermato anche Franco Locatelli. Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità ha detto che “vanno ancora messi a punto dei criteri per la campagna sui test sierologici come il dimensionamento campionario e la raccolta dei campioni in riferimento ai laboratori che dovranno essere presenti in tutte le regioni – ha specificato Locatelli – ma non andremo per le lunghe nella definizione di tali aspetti: nel giro delle prossime settimane tutto inizierà e verrà concluso in tempi brevi”.

Grazie a questo strumento si potrebbe dunque tracciare l’effettiva diffusione del virus nella popolazione. I tamponi permettono di individuare il contagio nelle mucose respiratorie. I test sierologici sarebbero invece in grado di individuare i soggetti entrati in contatto con il virus. E lo fanno rintracciando gli anticorpi prodotti dall’organismo, dal sistema immunitario, come riposta al Covid-19.

Questi esami possono essere di due tipi. Entrambi rintracciano gli anticorpi (immunoglobuline) IgM e IgG. Se nel sangue vengono individuate le IgC vuol dire che l’infezione si è già verificata da tempo e quindi il soggetto sottoposto a prelievo potrebbe essere tendenzialmente immune. Gli Igm sono invece prodotti temporalmente in caso di infezione e successivamente lasciano spazio alle IgC.

Un primo tipo di test sierologico viene condotto su una goccia di sangue, è in grado di individuare gli anticorpi e viene definito test rapido. L’altro è detto di tipo quantitativo perché capace di specificare la quantità di anticorpi prodotti e per essere messi in atto è necessario un prelievo. I test risulterebbero utili quindi per tracciare anche asintomatici o positivi che hanno sofferto soltanto sintomi lievi. Di conseguenza, grazie a questo tipo di esami, si potrebbe quindi ricostruire una panoramica più ampia della malattia, chiarire le dimensioni del contagio e il tasso di letalità.

Fondamentale però è chiarire l’indice affidabilità di questi test. Come spiega la Fondazione Veronesi: “Test con molti falsi positivi rischierebbero di dare il via libera a persone che in realtà non hanno mai contratto il virus. Non solo, si rischierebbe una fotografia della circolazione del virus poco aderente alla realtà. È per questa ragione che già ora si stanno valutando tanti test sierologici confrontando il dato ottenuto dal tampone positivo“.

Regioni come Emilia Romagna, Liguria, Veneto, Toscana e Lazio hanno già avviato campagne estese di test sierologici. Il ministero ha avvisato che gli unici da prendere in considerazione saranno quelli che verranno validati dall’Istituto Superiore della Sanità. Si lavora dunque, per maggio, a una grande inchiesta del ministero, con l’Istat, su un campione di 100mila persone che, secondo quanto annunciato, coprirà diverse regioni, categorie e fasce di età di cittadini.

Redazione

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