Una nuova figura si sta facendo strada nella politica tailandese. Si chiama Pita Limjaroenrat,  poco più di 40 anni, leader Phak Kao Klai (Move Forward Party), la cui carriera politica vera e propria è cominciata nel 2019, quando ha ottenuto un seggio da deputato e guadagnato notorietà per un intervento sulla necessità di riformare le politiche agricole del Paese.

Il partito è nato sulle ceneri del Partito del Futuro Nuovo (sciolto dalla Corte Costituzionale nel febbraio 2020), con uno spirito progressista e riformista volto a limitare l’influenza dei militari sulla politica nazionale, decentralizzare la burocrazia e migliorare la condizione sociale ed economica della popolazione. Le recenti elezioni però non hanno consentito a Pita di ottenere la fiducia dal parlamento bicamerale della Thailandia per diventare primo ministro.

Il giovane leader non è riuscito a conquistare la maggioranza dei voti tra i membri della Camera bassa e del Senato, necessari per conquistare la premiership. Uno dei suoi cavalli di battaglia è l’abolizione della severa legge sulla lesa maestà che stabilisce che chiunque «diffami, insulti o minacci il re, la regina, l’erede designato o il reggente» è punito con una pena detentiva compresa tra i 3 e i 15 anni. Ed è proprio su questo punto che i principali oppositori frenano il nuovo potenziale cambio passo della politica del Paese caratterizzata dalla presenza massiccia, in molte delle istituzioni, dei militari.

In tutto questo lo spettro di una crisi politica destinata a prolungarsi fintanto che non si trova una maggioranza parlamentare, a cui potrebbero aggiungersi proteste di piazza in risposta anche alla situazione economica. Difatti, a partire dal colpo di Stato del 2014, la crescita del PIL ha superato di poco il 4% in soli due anni. Al contrario, precedentemente, il PIL si aggirava intorno al 7,5% su base annua. Il Paese è quello che è cresciuto meno di tutti i membri ASEAN (l’Associazione raggruppante i Paesi del Sud-Est asiatico). Infine la Thailandia è legata, su base militare (dalla guerra fredda), agli Stati Uniti che – dopo il golpe – hanno tagliato i finanziamenti militari diretti a Bangkok. Del raffreddamento dei rapporti con gli USA ha approfittato la Cina che ha sfruttato il momento per intensificare i rapporti con il suo vicino asiatico con nuovi contratti di fornitura di sottomarini scalzando di fatto il Giappone che, dal 2012, era il primo partner commerciale.

La leadership, a parere mio, si misura anche nella capacità di un Paese di avere il coraggio di cambiare passo e liberarsi di consuetudini passate e poco democratiche. La Thailandia si trova così davanti ad un bivio: da una parte la possibilità di un cambiamento, dall’altra la continuazione di un governo militare.
Il Pil ASEAN (nel loro insieme) tra il 2020 e il 2030 è previsto passare da 3 a 6,4 trilioni di dollari. L’Asian Development Bank (ADB) all’ottobre 2022 aveva investito 7,4 miliardi di dollari in Thailandia. Quale sarà la posizione dell’Europa nei prossimi anni? Convergiamo nelle politiche di cooperazione internazionale e sviluppo creando una vera e propria strategia non solo orientata alla produzione ma anche alla definizione di una nuova classe media in rapida espansione.