Storia di una vita fuori dal comune
Tinto Brass a 90 anni si racconta: “Ai giovani dico: sperimentate. L’amore è la sola trasgressione che ci resta”
“Nella vita mi sono sempre buttato, non ho rimpianti. L’ho vissuta come volevo, anche nel lavoro, nonostante gli scontri con la censura”. Inizia così il racconto di una vita intera, raggiunti (quasi) i 90 anni. A raccontare è Tinto Brass, maestro del cinema erotico che spegnerà le 90 candeline il 26 marzo. Sopravvissuto a un’emorragia cerebrale, a un ictus e a due ischemie in una lunga intervista racconta il suo passato, da quando il nonno Italico lo vide disegnare e disse: “Abbiamo un Tintoretto in casa”. E così diventò Tinto.
Nella sua vita non c’è stato solo il cinema. Nel 2010 si presentò alle elezioni con la lista Bonino-Pannella. “Meglio un c**o che una faccia di c**o”, era lo slogan sul manifesto elettorale con un sedere in primo piano, “Che poi è il mio”, ha detto Caterina Varzi, 62 anni, sua moglie dal 2017. È lei che ne sta curando l’archivio e con cui ha scritto una biografia dal titolo Una passione libera (Marsilio). Che cos’è per lui la trasgressione? “Quella vera non esiste più, è diventata una forma di conformismo. L’unica vera trasgressione ormai è l’amore. Io con Caterina l’ho trovato. E posso dirlo: ho avuto culo”.
Della sua infanzia racconta il rapporto tormentato con la famiglia: “Da piccolo non ricevevo abbracci, carezze o baci, forse anche per questo non ho mai rimpianto di non aver recuperato il rapporto con mia madre. Non andai nemmeno al suo funerale. Mentre con mio padre ci fu un tentativo alla fine. Mi disse: ‘Dobbiamo ricominciare a parlare’. Ma poi morì. Ho invece un ricordo più felice dei miei nonni. Mio nonno Italico. Lo vede quel suo quadro lassù, in alto? Ispirò una poesia a un suo caro amico di Venezia…, Ezra Pound, ‘For Italico Brass’”.
Da ragazzo lo strumento principale del suo erotismo erano i film. “Anche se l’autoerotismo non lo scoprii subito. Un amico mi mostrò sulla spiaggia al Lido. ‘Ah – dissi – è così che si fa?'”, racconta. Dei suoi maestri racconta: “Ho imparato tutto da Roberto Rossellini, soprattutto l’arte del montaggio mentre lo aiutavo per il suo documentario sull’India. Se aveva passato una bella notte con Sonali Das Gupta era bravissimo, sennò anche lui era svogliato. Con i maestri della Nouvelle Vague tiravamo tardi in brasserie. Il mio Chi lavora è perduto deve qualcosa a Truffaut, mentre L’urlo più a Godard”.
Ha diretto attori come Alberto Sordi e Monica Vitti. “La Vitti era molto espressiva, ma ancora non sapevo che sarebbe diventata una grande attrice. Fui però io a tirar fuori la sua verve ironica, prima di Monicelli. Sordi era formidabile, avrebbe potuto fare tutto, anche i film erotici. Era in un momento complicato perché voleva fare il regista più che l’attore, mentre io, dopo L’urlo, pensavo di aver dato tutto e volevo smettere. Il disco volante invece lo girai solo perché me lo chiese Silvana Mangano, anche lei nel film. Silvana Mangano… Era molto gentile con me, non posso dire altro perché le grandi non si toccano”. Per un pelo non ha girato l’Arancia Meccanica: “La Paramount me l’aveva proposto, ma rinunciai per L’urlo, e non me ne pento. Il mio vero rimpianto è non aver fatto I Borgia, che doveva far parte della mia trilogia sul Potere insieme a Salon Kitty e Caligola. Avevo anche proposto la parte a Richard Burton, a cui piacque la sceneggiatura. Riteneva però che il ruolo fosse troppo ‘fisico’”.
Per il regista l’Italia di oggi è ancora perbenista e ipocrita. “È tornato il comune senso del pudore, lo si è visto anche a Sanremo. Mi fa ridere che abbiano denunciato per atti osceni quei due (Fedez e Rosa Chemical, ndr)”. Confessa di non avere idea di cosa sia You Porn. “Già nei miei ultimi film avevo però percepito che la società e il pubblico stavano cambiando. E per questo cercai di spingere l’erotismo verso la pornografia d’autore, ma i produttori me lo impedirono”. Ai giovani consiglia “di sperimentare. Di pensare con la propria testa. Di essere autentici”.
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