Editoriali
Toghe arroganti, pure nella crisi
Quando la classe politica della cosiddetta Prima Repubblica fu travolta dalle indagini giudiziarie non provò neppure a difendersi. Certo, Craxi buttò lì che Mario Chiesa era solo un “mariuolo”, e poi in parlamento fece quel suo discorso sul finanziamento illegale conosciuto e praticato da tutti, ma furono modesti e isolati espedienti di resistenza in un panorama di generale abdicazione: e perlopiù i dirigenti di quei partiti politici seguivano il consiglio dei loro avvocati, cioè fare le scale del Palazzo di Giustizia di Milano e presentarsi incurvi davanti ai pm per confessare.
Viene in mente quell’andazzo, ora che scandali non meno gravi coinvolgono proprio quelli che guidarono la rivoluzione giudiziaria che ha distrutto quei partiti politici. Questi erano titolari di un potere vituperato, ma che comunque poteva vantare una specie di accreditamento e, dopotutto, una parvenza di addentellato costituzionale: i magistrati, no. I Magistrati esercitavano allora, e in buona misura esercitano ancora, un potere adulato, e completamente estraneo al limite costituzionale. E questo spiega perché, pur a fronte delle gravissime e sistematiche ragioni di malversazione che ne viziano la struttura, l’organizzazione giudiziaria reagisce facendo finta di nulla. Il pallido riflesso di responsabilità che ancora connotava il contegno dei partiti politici, e li obbligava ad allargare le braccia di fronte all’evidenza della propria inadeguatezza, è completamente assente nei comportamenti della magistratura corporata, la quale oppone all’accusa che la riguarda la noncuranza del potere arbitrario, l’arroganza del potere usurpato, la violenza del potere senza fondamento di diritto. Non c’è neppure il segno del potere corrotto, nell’indifferenza della magistratura: c’è quello del potere golpista.
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