Che fine fa la deontologia?
Toghe e canali social, quando nei post dei magistrati manca prudenza e sobrietà
Le cronache sono piene di magistrati scatenati su Fb. Fra i casi più eclatanti, quello del pm di Trani Marco Ruggiero, che dopo essersi presentato in aula con la cravatta tricolore, aveva esternato il proprio disappunto per essere stato lasciato solo dallo Stato, ma anche quello del commento della pm di Imperia Barbara Bresci sulla bellezza di Gabriel Garko
“Se un giudice usa i social per criticare o condividere questo o quel politico o le posizioni di questo o quel partito, può scrivere le sentenze più belle del mondo o fare le inchieste più azzeccate, ma presterà sempre il fianco a chi mette in dubbio le sue decisioni”, ha scritto ieri su X Enrico Costa, deputato e responsabile Giustizia di Azione.
La vicenda di Iolanda Apostolico, la giudice del tribunale di Catania che non ha convalidato il trattenimento di tre tunisini sconfessando il decreto del governo e che sul proprio profilo Fb condivideva post volgari e beceri contro l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, a favore delle Ong e del Partito democratico, ha fatto tornare nuovamente d’attualità il tema “toghe e social”.
L’argomento non è nuovo. Anzi. Nel 2017, dopo l’ennesima esternazione di un magistrato su Fb, l’allora laico del Csm Pierantonio Zanettin (FI), decise che era giunto il momento di aprire una pratica per individuare delle linee guida volte a garantire che la comunicazione sui social da parte dei magistrati avvenisse nel rispetto dei principi deontologici e con forme e modalità tali da non arrecare pregiudizio alla credibilità della funzione.
In quei mesi le cronache erano piene di magistrati scatenati su Fb. Fra i casi più eclatanti, il pm di Trani Marco Ruggiero, che dopo essersi presentato in aula con la cravatta tricolore, aveva esternato il proprio disappunto per essere stato lasciato solo dallo Stato nel processo sulle agenzie di rating, finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Il post, ripreso poi dal Blog delle stelle, diventò virale. Altro post decisamente sopra le righe fu quello del presidente del Tribunale di Bologna Francesco Caruso che aveva paragonato chi votò Si al referendum costituzionale voluto da Matteo Renzi a coloro che aderirono alla Repubblica di Salò del Duce.
E come non ricordare la pm di Imperia Barbara Bresci, titolare dell’inchiesta sull’esplosione di una villetta di Sanremo nella quale alloggiava Gabriel Garko, incidente che costò la vita alla proprietaria dell’immobile, che si lasciò andare ad apprezzamenti sull’attore? “Era bello? L’hai guardato anche per me?” gli chiedeva un’amica. E Bresci: “Eccome…”. Un’altra: “ti sei rifatta gli occhi?” E lei: “Sì”, attaccando gli ricordava che era omosessuale.
Per Zanettin, attuale capogruppo azzurro in Commissione giustizia al Senato, era dunque necessario da parte del Csm un “solenne intervento” per richiamare i magistrati a canoni di maggiore prudenza, sobrietà e riservatezza nell’uso dei social network e piattaforme digitali in genere, nel rispetto della libertà di pensiero. Il Csm, però, dimostrando scarsa attenzione nei confronti di tutto ciò che mette in discussione il prestigio delle toghe agli occhi dei cittadini, invece del “solenne intervento”, aveva deciso nel 2022, dopo cinque anni, di archiviare direttamente la pratica. Perché l’argomento non sarebbe stato di sua competenza.
“Nulla di nuovo. Ancora una volta, seguendo una tradizione ben consolidata in questi anni, il Csm aveva preferito nascondere il problema sotto il tappeto invece di trovare una soluzione”, disse quindi Zanettin, ricordando che “il magistrato non è un cittadino come tutti gli altri: il suo ruolo gli impone di non lasciarsi andare a commenti e giudizi sconvenienti che possano comprometterne la terzietà ed imparzialità e che non possono essere giustificati con la libertà di pensiero”.
Dello stesso tenore Antonio Leone, anch’egli ex componente laico del Csm ed ora presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, duro nei confronti di chi ritiene sia comunque “libertà di pensiero”.
“Chi prende a cuore la difesa di questi magistrati che si lasciando andare a commenti su Fb pensa che essi siano come il dottor Jekyll ed il signor Hyde: sui social posso dire tutto ed il suo contrario, invece quando scrivono le sentenze lo fanno in ossequio la legge ed in piena autonomia ed indipendenza”, afferma Leone. Una voce contro al ‘giustificazionismo’ togato viene da magistrati di Magistratura indipendente. “Da sempre pensiamo che un magistrato debba parlare solo attraverso i suoi provvedimenti e proprio per questo chiediamo che la critica muova dal loro contenuto, sulla base di un confronto intellettualmente onesto, basato sul rifiuto del metodo dell’argumentum ad hominem”, scrivono le toghe conservatrici di Mi in un comunicato diffuso ieri.
“Non dimentichiamo – proseguono – che il magistrato deve sia essere che apparire indipendente dalla politica e siamo disponibili a interrogarci su come questo dovere debba essere declinato nell’era dei social network, ma ci opponiamo alla critica dei provvedimenti basata su slogan o sul processo alle intenzioni di chi li emette, perché crea una dannosa contrapposizione tra istituzioni democratiche, che rischia di lasciare i cittadini disorientati e di compromettere la loro fiducia nelle istituzioni”.
In Italia, va sottolineato, da tempo i social sono diventati l’unico mezzo con cui le persone si informano su ciò che accade.
Le ultime ricerche annotano che circa 15 milioni di italiani si informano esclusivamente sui social, non ricordando l’ultima volta che hanno letto un giornale.
In un simile scenario è fondamentale pertanto che i personaggi pubblici diano informazioni corrette, non diventando dei divulgatori di fake news o lasciandosi andare a commenti e giudizi sfavorevoli.
Per la cronaca, comunque, tutti i magistrati finiti fino ad oggi sotto disciplinare per un post ‘sopra le righe’, sono sempre stati assolti per “scarsa rilevanza” del fatto.
© Riproduzione riservata