Milano, unica vera metropoli d’Italia, ha inevitabilmente anche il compito di esprimere cultura capace di rapportarsi con le altre grandi città europee. Ci riesce?
«Milano è oggi un laboratorio culturale vivo, ricco e complesso, con importanti connessioni con le altre città europee. Giusto per fare un esempio, oggi Palazzo Reale fa parte della Associazione Europea di Residenze Reali insieme a istituzioni come la Reggia di Versailles o Buckingham Palace e stiamo lavorando per trasformarlo in un vero e proprio museo, oltre che nel prestigioso spazio espositivo che ha già superato il mezzo milione di visitatori nel primo semestre 2024. In senso più ampio, la progettazione delle importanti infrastrutture con funzione culturale che nasceranno a breve a Milano – penso alla BEIC, alla nuova Biblioteca di Lorenteggio e ad altre ancora – ha ingaggiato architetti di tutta Europa, proprio perché Milano non ha solo il ruolo simbolico di “porta d’Europa”, ma è un importante riferimento internazionale anche in ambito artistico e culturale».

La cultura deve segue due vie: quella aperta alle contaminazioni di respiro internazionale e quella – diciamo così – più identitaria. Sono due offerte conciliabili?
«Assolutamente, e da sempre. Milano ha nel suo DNA accoglienza e inclusione ed è stata – spesso nella sua storia, ma soprattutto dal primo ‘900 – il terreno nel quale sono germogliati talenti e idee che si sono spesso trasformati in avanguardia. La città si è sempre arricchita in questo reciproco scambio, rinforzando sempre più la propria identità di città multiculturale e aperta al mondo».

Anche per quanto riguarda la cultura c’è il rischio di avere una città a doppio passo: il centro, moderno e all’avanguardia e le periferie, con necessità ed espressioni più popolari. Come evitare la distanza?
«Stiamo investendo moltissimo nell’attività culturale e, in particolare, nella promozione e nel sostegno delle attività di spettacolo dal vivo, nei quartieri più lontani dal centro. Dall’inizio dell’estate e fino al 31 ottobre il palinsesto “Milano è Viva” porta festival, musica, teatro e performance in moltissime zone oltre la circonvallazione esterna della città. Molti degli investimenti infrastrutturali su cui stiamo lavorando – penso alla Goccia che ospiterà le Scuole Civiche in Bovisa, alla Magnifica Fabbrica che ospiterà i laboratori della Scala in Rubattino, alla BEIC in Porta Vittoria – creano nuovi baricentri culturali in città, che porteranno cultura, aggregazione e una nuova socialità».

La cultura si esprime in modi fisicamente tangibili. Tuttavia, anche in questo campo le tecnologie di comunicazione e diffusione digitale trovano un inevitabile ruolo. Milano ha una progettualità in questo senso?
«Il lungo periodo del Covid, che ha determinato l’impossibilità di fruire direttamente delle collezioni museali, delle mostre e dei concerti, ha dato una grande spinta in questo senso. Ma la “rivoluzione digitale” è entrata da tempo in Comune e abbiamo già digitalizzato moltissimi archivi. Il portale graficheincomune – giusto per fare un esempio – permette di visualizzare tutto lo straordinario patrimonio grafico del Castello Sforzesco, conservato nel Gabinetto dei Disegni e nell’Archivio Bertarelli; così come è completamente digitalizzato il ricchissimo Archivio fotografico civico. Ma anche per la promozione delle attività culturali utilizziamo tutti i mezzi a disposizione (newsletter, social, campagne out of home, ecc) per informare i cittadini sulle moltissime e diversificate attività promosse e coordinate dall’Assessorato».

“La cultura costa e non dà da mangiare”: è vero? si tratta di un investimento a fondo perduto e quindi da alcuni percepibile come “accessorio” in tempi critici?
«Le rispondo con dei dati, perché dal punto di vista politico l’affermazione della assoluta necessità di investire in cultura, anche e soprattutto nei momenti di crisi, è ormai – spero – un assunto consolidato. Cultura è anche lavoro, e lo dimostrano i dati di Fondazione Symbola, che ogni anno fotografa il sistema culturale italiano e che ha evidenziato nel suo ultimo report come l’area metropolitana milanese sia prima in assoluto nella classifica delle province italiane per il valore economico (16,6 mln di euro corrispondenti al 17,4% sul totale del sistema produttivo culturale e creativo italiano), ma anche per il tasso di occupazione nel settore (quasi 199mila addetti corrispondenti al 13,3% del totale Italia)».

Se Milano ha un sistema culturale efficace, lo deve sicuramente all’impegno istituzionale, ma almeno altrettanto ad una serie di attori privati – prime fra tutti le fondazioni – che oltre ad investire economicamente, costituiscono un sistema organizzativo importante. quanto e come funziona questo sistema virtuoso?
«Il sistema culturale di Milano è un esempio di collaborazione virtuosa tra il settore pubblico e quello privato. Le fondazioni, le imprese e i mecenati privati giocano un ruolo cruciale nell’offerta culturale cittadina. Queste collaborazioni non solo supportano economicamente la progettualità, ma portano con sé anche idee e competenze che rafforzano la proposta artistica complessiva della città. Attraverso partenariati pubblico-privati, siamo riusciti a realizzare progetti ambiziosi e a mantenere alta la qualità delle nostre iniziative culturali, garantendo una programmazione ricca e diversificata».

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