Toomaj Salehi, il rapper condannato a morte per aver cantato la rivoluzione: le proteste che fanno impazzire il regime

È davvero commovente la mobilitazione dei giovani in Iran che in queste ore stanno tentando di salvare la vita del rapper dissidente Toomaj Salehi rinchiuso dal 24 aprile nel braccio della morte del famigerato carcere di Isfahan. Pubblicano in Rete le sue foto e i suoi videoclip; scrivono le sue canzoni sui muri delle città; accendono i fari delle auto a intermittenza e postano il tutto su Instagram, Facebook e TikTok. La nuova generazione avverte il regime che la rivoluzione per la liberazione dell’Iran dalla Repubblica islamica non è terminata. Il rapper dissidente è una delle voci più forti che si è levata dalle strade alle prigioni contro i mullah; i giovani ribelli in Iran traggono dal re della break dance iraniana linfa per la lotta di liberazione dal nuovo satrapo persiano, i suoi testi non parlano di sesso e droga, ma di diritti fondamentali, dei diritti delle donne, di libertà e del fatto che gli iraniani dovranno riprendersi il loro paese e cacciare via per sempre gli ayatollah. “Non aspettare un soccorritore: sei tu l’eroe! Se tu e io diventiamo un’unità, allora non ci saranno limiti”, sono questi i versi di Toomaj in una delle sue più note canzoni.

Chi è Toomaj Salehi, il rapper condannato a morte

Le autorità iraniane non desistono dall’utilizzare l’arma del terrore facendo lugubremente penzolare il cappio che sta per stringersi al collo del rapper Toomaj, condannato a morte per “moharebeh” (guerra contro Dio) e per “mofsed-e-filarz” (corruzione sulla terra) e ora la sua vita dipende dalla forza e dall’efficacia della mobilitazione e della pressione della comunità internazionale. Ed è così che la voce della pacifica rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” in Iran langue nel braccio della morte: la musica del rapper Toomaj Salehi rischia di essere messa a tacere per sempre. Toomaj è l’emblema, il portabandiera, della rivoluzione della “generazione Z” in Iran, ne incarna l’essenza e tutto il suo significato globale-locale. Per Toomaj, infatti, la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” è un “ruggito di mille rabbie” ed è espressione delle radici rivoluzionarie di arabi, assiri, armeni, turkmeni, mazni, sistani, beluci, talesh, tat, azeri, curdi, gilak, lur, persiani, qashqai e baha’í. “L’Iran è un insieme di fiumi”, ha cantato Toomaj. Il messaggio al centro delle proteste in Iran è per questo del tutto inedito e dirompente. L’artista è figlio di una famiglia appartenente al gruppo etnico dei bakhtiari e non è un caso che le sue canzoni insistano sull’importanza della coesione tra i diversi popoli iraniani. “Se il mondo avesse un solo colore, bianco o nero, non sarebbe bello”. Un messaggio, questo, che sta unendo centro e periferia con slogan molto eloquenti: “Curdi, beluci, baha’í, azeri, bakhtiari: libertà e uguaglianza” e il motto curdo “Jîn, Jîyan, Azadî” equivale a rivendicare “Democrazia, laicità, libertà, diritti civili e diritti delle minoranze”, indispensabili per la vita umana.

Il regime sta impazzendo

Questo carattere della rivoluzione dei giovani in Iran che sta unendo in una edita sintonia, centro e periferia, sta facendo letteralmente impazzire il regime oltretutto alle prese con una terribile crisi economica. Il muscista ha rappato sulle sue popolari piattaforme mediatiche la rivoluzione delle coraggiose donne iraniane che dal 16 settembre 2022, dopo l’uccisione della giovane curda Jîna (Mahsa Amini) a opera della polizia morale, si erano ribellate pacificamente per porre fine al regime di apartheid di genere praticato dal 1979. Il rapper è l’ennesima figura di alto profilo a essere perseguitata. In una sua intervista rilasciata prima di finire nel famigerato penitenziario di Isfahan, aveva paragonato i guardiani della rivoluzione a una organizzazione mafiosa, pronta a uccidere i figli dell’intera nazione pur di mantenere il potere, il controllo economico del paese, il denaro e le armi. Il musicista è noto per le sue canzoni piene di un ribelle fervore politico. I suoi videoclip sono stati girati in località anonime e periferiche in varie province iraniane. È un artista “underground” di cultura “hip hop” che si muove nel solco della corrente dei rapper attivisti nel campo politico-sociale e dei diritti civili e che si servono della loro forte attitudine comunicativa per esprimere opinioni politiche bandite dal governo.

Per molti mesi non si erano avute più notizie di lui. Si è saputo solo che è stato torturato per mesi e poi se ne era persa ogni traccia. Toomaj con la sua musica aiutava i giovani a eludere la repressione del regime su Internet. È parte, assieme all’altro artista rap, Saman Yaşin, di quel movimento considerato clandestino che ha combattuto e combatte la censura online durante le proteste e la disobbedienza civile contro l’apartheid di genere. Il trentaquattrenne rapper fu arrestato una prima volta nel settembre 2021 subito dopo l’uscita del suo brano anti pasdaran “Rat Hole” (La Tana del Topo, 2021) in cui esorta gli agenti del regime, i lobbisti e gli apologeti, a cercare un posto dove nascondersi. Toomaj è spesso ricordato proprio con un ritornello di questa sua canzone in cui dice, rivolto ai pasdaran: “Comprati un buco di topo per andare a nasconderti”. Dopo una settimana di efficaci proteste sui social media fu rilasciato su cauzione in attesa del processo. Nel gennaio 2022, la Corte rivoluzionaria islamica di Shahinshahr lo condannò a sei mesi di reclusione con sospensione della pena e al pagamento di una multa. Fu arrestato di nuovo il 30 ottobre 2022 assieme a un gruppo di suoi amici e tradotto in un luogo sconosciuto, approdando poi a Isfahan.

Dopo aver resistito a indicibili torture dagli aguzzini dei guardiani della rivoluzione che volevano estorcergli una falsa confessione, circa sei mesi fa era stato ancora una volta liberato su cauzione, ma solo per alcune ore perché è stato nuovamente arrestato, per meglio dire “rapito” per strada, da agenti pasdaran in borghese che lo hanno riempito di botte e colpito con il calcio dei kalashnikov. Toomaj non si è mai lasciato intimidire. Ha continuato a dire la verità e per questo dal 24 aprile langue nel braccio della morte.
Stessa persecuzione è toccata anche al rapper curdo Saman Yaşin, 28 anni, accusato di aver manifestato per la liberazione dell’Iran. Anch’egli è stato brutalmente torturato nelle prime tre settimane della sua detenzione. Era stato condannato a morte, ma per fortuna la sua condanna è stata revocata. Dal primo marzo è dietro le sbarre del carcere di Evin anche il cantante Shervin Hajipour, autore del brano musicale “Baraye”. La hit del cantante “Baraye” era diventata un inno della Rivoluzione per la liberazione dell’Iran dalla Repubblica islamica e la sua condanna è l’ennesimo esempio della repressione da parte del regime nei confronti di coloro che vi presero parte. Hajipour deve scontare una pena a tre anni di reclusione per “incitamento alla rivolta e per minaccia alla sicurezza nazionale”, nonché una condanna a otto mesi per “propaganda contro il regime”. Gli è stato anche impedito di lasciare l’Iran per due anni e gli è stato imposto di scrivere una canzone sui presunti “crimini compiuti dagli Stati Uniti”.