Ultima domenica prima di Natale, i palazzi a Bruxelles chiusi fino al 7 gennaio, l’attenzione dei media rivolta al vertice Nord-Sud in Lapponia, presente anche Giorgia Meloni. L’occasione è d’oro per chi vuole prendere di sorpresa l’Europa. È in questo clima di indolenza che il premier slovacco, Robert Fico, si è conquistato onori e disonori delle prime pagine dei giornali, bussando al Cremlino per trattare sul gas direttamente con Putin.
Di fatto, il redivivo leader populista – graziato da un attentato a maggio scorso – non ha portato a casa nulla. Mosca stessa si è limitata a prendere atto della preoccupazione slovacca che Kiev blocchi il gas che transita verso il suo territorio. Come altrettanto non ha ancora dato seguito alla proposta di Budapest di far passare il gas a lei destinato come già ungherese all’acquisto, pretendendo così che l’Ucraina non possa negarne il passaggio. Opportunisti e illusi che Putin li tratti come propri pari, i Pétain e Quisling della nostra epoca – per ricordare i più deplorevoli collaborazionisti della seconda guerra mondiale – sono convinti che, così facendo, potranno sedersi al tavolo della pace godendo della grazia del vincitore. Sono anche certi che Putin vincerà e che, per queste mosse gestite deliberatamente all’insaputa di Bruxelles, terrà conto della loro amicizia. Male che vada una dacia per qualche dittatore in fuga si trova sempre fuori Mosca.
Tuttavia, la vittoria russa contro l’Ucraina resta ancora da dimostrare. Se non altro per come se la immaginano tra Bratislava e Budapest. Sebbene anche a Vienna c’è chi la spera. Le intenzioni di Kyiv di fare l’impossibile perché Gazprom non guadagni altri miliardi a spese del tuo territorio – già intriso del sangue dei suoi soldati morti – lascia pensare (e auspicare) che la resistenza sarà ancora tenace. E lunga. Del resto, nell’Est Europa l’inverno vero non è ancora arrivato. Negli ultimi dieci giorni, tra Austria, Slovacchia e Ungheria, le temperature sono rimaste fra i 5 e gli 0 gradi. Fa freddo sì, ma non così tanto da accendere le caldaie a tutto gas.
D’altra parte, guai a sottovalutare il segnale. Neanche una settimana fa, con Zelensky a Bruxelles, si diceva che una nuova fase della guerra fosse alle porte. In Lapponia, i governi italiano, finlandese, greco e svedese – sotto lo sguardo soddisfatto di Kaja Kallas – si sono detti concordi nel ribadire che “non vogliamo permette alla Russia o alle organizzazioni criminali di minare la nostra sicurezza”. Tuttavia, l’incipit di questo nuovo capitolo della guerra sembra riprendere un tema già trattato nel 2022. Il gas torna infatti a essere un elemento del conflitto. La differenza sta nei giocatori, però. Tre anni fa, c’era l’Europa contro la Russia.
Oggi, il collaborazionismo interno rende la prima ancora più esposta. Infatti, ammesso e non concesso che l’Ue sia in grado di fare la voce tonante contro Putin, quelle di Fico e Orban non sono solo stecche disarmoniche rispetto alla sinfonia continentale, ma cantano proprio lo spartito che è stato dato loro dal Cremlino. Non è stata la Slovacchia ad aver guadagnato qualcosa dal viaggio a Mosca. Bensì Putin. Qui bisogna fare un discorso prima di tutto economico.
L’Ungheria riceve annualmente circa 4,5 miliardi di metri cubi di gas russo. Sono invece 8,62 i miliardi di metri cubi quelli che arrivano in Slovacchia. Noccioline, rispetto ai 180 miliardi di metri cubi che Mosca ci ha ributtato nelle nostre caldaie nel biennio culmine delle sue esportazioni (2018-‘19). Gazprom può e vuole sperare di tornare a quei livelli? Se sì, allora la proposta di Orban potrebbe essere un utile escamotage. Far transitare dall’Ucraina gas “ungherese” può voler dire esportarlo, in un secondo momento, in altri mercati europei. In Italia, per esempio, c’è chi potrebbe dire: “Possiamo prenderlo. Non è russo”.
L’ultimo fattore è il tempo. Se è vero che il 2025 sarà l’anno delle trattative, allora Putin deve organizzarsi affinché Zelensky sia il più isolato possibile. Trump è una garanzia. Certezza, questa, su cui ci sentiamo di dissentire. L’Europa invece dev’essere fiaccata il più possibile. Agli occhi di Mosca, chi sta dalla sua parte dev’essere fatto passare come un soggetto forte, in grado di influenzare Bruxelles o, in alternativa, dimostrarne le debolezze. Gas o armi che siano, il bivio di fronte all’Ue è questo.
Lasciare che la percezione degli alleati della Russia annichilisca chi è invece è suo avversario, oppure rendere inerme il nemico interno. Dalle elezioni di giugno in poi, si è parlato più di volte di quel cordone sanitario che avrebbe dovuto lasciare le destre-destre fuori dalle stanze del potere a Bruxelles. L’operazione non è riuscita un granché. Quel fil rouge che separa buoni e cattivi può ancora tornare utile, però. Se non in parlamento, lungo le frontiere orientali.