Dicono che all’arrivo in piazza San Vittore, a Varese, della delegazione con le massime cariche di governo sia stata applaudita più Giorgia Meloni che Matteo Salvini. Ha fatto sobbalzare il cuore di qualche leghista dell’ultima ora quel gonfalone della Regione Campania che il governatore Vincenzo De Luca ha voluto che fosse presente lassù al nord per salutare l’amico Bobo. Si è notato il passo indietro del ministro Giorgetti – che mai ha smesso il confronto con il suo vecchio segretario – rispetto allo stesso Salvini in prima fila con Meloni, il governatore Fontana, il presidente della Camera Lorenzo Fontana, il presidente del Senato Ignazio La Russa e il vicepresidente Gianmarco Centinaio.
Posti assegnati dal rigido cerimoniale, si dirà. E poi le lacrime discrete di Giorgia Meloni, “siamo stati fortunati ad avere uno come lui nelle istituzioni, sapeva mettere insieme visione e concretezza e sapeva fare gioco di squadra”. Quelle di Salvini: “È stato un orgoglio per la Lega e per l’Italia. La sua eredità politica è risolvere i problemi e non crearli. Siamo qua per questo. Per me sarà ancora più impegnativo ed emozionante guadagnarmi la fiducia giorno per giorno”. C’erano tutti ieri mattina a Varese, in piazza del Podestà dove nacque la Lega, dove c’è ancora la sede storica e dove ieri mattina c’era uno striscione “Grazie Bobo”. E in piazza San Vittore dove affaccia la basilica che ha ospitato le esequie di Stato. “C’era la vecchia e la nuova Lega – racconta con mestizia un membro del governo – un partito che in 35 anni di vita, siamo il partito più antico in Parlamento, è cambiato molto. Ci siamo ritrovati tutti (notata l’assenza della famiglia Bossi, “neppure uno dei figli” ndr), quello che siamo e che siamo stati. Stamani a Varese si respirava lo spirito della Lega. Anche per questo non è stata affatto una cerimonia triste”. Certo, continua il big leghista, “osservando la scena stamani è stato evidente una volta di più che occorre ridefinire il perimetro. Così come siamo, siamo troppo simili a Fratelli d’Italia ed è chiaro che in questo momento sono loro ad avere il vento in poppa”.
Come direbbe Bobo, quindi, occorre cambiare vento. Cercarne di nuovo e diverso. Maroni si era chiesto il 26 settembre se potesse essere Salvini a guidare questa nuova vita della Lega. E la risposta probabilmente è stata negativa. Non è mai elegante cercare messaggi politici in un momento così privato come il funerale. Se però le esequie sono quelle di un leader politico come Roberto Maroni, è inevitabile cercare di leggere nella cerimonia di Stato che ieri mattina lo ha salutato con passione ed emozione quella che viene definita “la nuova geografia della Lega post sovranista”.
Una geografia dove la leadership di Salvini è in bilico e il nuovo che avanza è soprattutto il nuovo che ritorna: la Lega del Nord, quel nord che proprio Salvini ritenne utile togliere dal simbolo nel 2018 per dare vita al suo partito personale “Lega Salvini premier”.
La famiglia Maroni ha rifiutato la sede della prefettura per la camera ardente (“grazie, facciamo da soli” avrebbe risposto la vedova al ministro dell’Interno) e ha fatto mettere per scritto di “provvedere autonomamente alle spese del funerale di Stato”. Un altro big leghista spiega che “Maroni si era messo nei fatti da solo fuori dalla Lega quando nel 2018 decise all’improvviso di non candidarsi alla guida della Lombardia”. Motivi personali, quei maledetti processi finiti poi nel nulla. Ma anche divergenze politiche. Che soprattutto adesso Salvini deve affrontare e risolvere se vuole conservare una leadership in bilico.
Dopo la cerimonia il segretario ha riunito il Consiglio Federale. È stato dato il via libera all’election day regionale (Lazio e Lombadia al voto insieme il 12-13 febbraio). È stata blindata la candidatura di Fontana. Ed è stato fatto il punto sui congressi provinciali che sono in corso. A maggio ci saranno i regionali. Poi verrà il tempo del congresso finale. Si parla di autunno prossimo. Ma potrebbe essere anche prima. Dipende da tanti fattori. Da come vanno le elezioni regionali. E da come vanno i congressi locali (si celebrano in pratica ogni domenica) dove si stanno facendo largo candidati non indicati da Salvini. È successo anche a Bergamo domenica scorsa. Il partito non è più blindato. È diventato, tornato, scalabile. Salvini lo sa.