In Iran la tensione cresce e le proteste continuano a finire nel sangue. Le ultime testimonianze parlano di atrocità, torture, violenze e stupri avvenute nelle carceri ai danni dei manifestanti che protestano in piazza da settembre dopo l’assassinio della 22enne Mahsa Amini, morta mentre era in custodia della polizia morale. Intanto un altro 23enne è stato ucciso dalla polizia, si chiamava Hamed Salahshoor, e faceva il tassista. Il suo corpo mostrava segni scioccanti di tortura, dopo essere stato riesumato dalla famiglia, che ne ha dato notizia. È stato arrestato vicino a Izeh il 26 novembre, come hanno riferito i suoi famigliari all’edizione farsi della Bbc. Quattro giorni dopo, hanno fatto sapere i parenti, le forze di sicurezza hanno detto a suo padre che Hamed era morto e gli hanno fatto dichiarare che aveva avuto un infarto. Ma il suo corpo mostrava i segni di gravi ferite alla testa e pesanti interventi chirurgici. “La sua faccia era fracassata. Il suo naso, la mascella e il mento erano rotti. Il suo busto dal collo all’ombelico e sopra i suoi reni era stato ricucito“, hanno raccontato alcuni parenti della vittima.

Dalle carceri arrivano alle Ong le testimonianze più terribili di questa stagione di violenza. Le forze di sicurezza del regime al potere usano, infatti, il pugno duro contro i detenuti: torture e umiliazioni, anche fisiche. Tra queste, ci sono quelle di due giovani, raccolte dal Corriere della Sera e confermate dall’Iran Human Rights Monitor.

“Buongiorno, ho 42 anni e faccio il tassista”. Alì (nome di fantasia, ndr) è appena uscito dal carcere ed è uno dei pochi disposti a parlare: “Sono stato arrestato di fronte all’università di Isfahan (nell’Iran centrale, ndr), a fine ottobre. Sostenevo gli studenti nelle proteste contro il dittatore Khamenei”. Le guardie “si comportano meglio con gli animali che con noi”, prosegue: “Ci portavano in una stanza e ci riempivano di botte, ci minacciavano e ci ordinavano di violentarci a vicenda. Sul soffitto, una telecamera che riprendeva tutto”. Immagini che sarebbero materiale per poi ricattare i manifestanti.

Un rapporto di Amnesty International del 2020 e la ong Iran Human Rights Monitor confermano: “L’uso sistematico degli stupri nelle carceri non è una novità. Avvengono sia sulle donne che sugli uomini, senza differenza”. Un uso che pone sulle vittime ricattate dal regime lo stigma sociale. Ali prosegue: “Ci torturavano, sentivamo urlare gli altri dalle celle vicine. Li stupravano. Ci hanno privato della dignità”.

Il Corriere, tramite la ong di Londra, riesce a raccogliere un’altra testimonianza, quella di Sara (altro nome di fantasia, ndr). Anche lei è finita dentro dopo una manifestazione. Anche lei ha subito violenza sessuale. “Non riesco ancora a tornare con la mente a quei momenti”, dice: “In prigione, i medici cercano di farti il lavaggio del cervello. Mi ripetevano: ‘Hai rovinato la tua vita, perché manifesti?’. Lo psicologo mi diceva che i giovani come me poi si suicidano: ‘Che senso ha una vita vissuta così?’. Gli aguzzini convincevano i detenuti ordinari a maltrattarci. Mi imbottivano di pillole. Ero obbligata a ingoiarle, loro aspettavano che deglutissi. Se mi rifiutavo, la destinazione era la cella d’isolamento”.

Sara e Ali sono oggi in libertà condizionata e nonostante la repressione continui gli attivisti non si fermano. Da ieri hanno proclamato altri tre giorni di proteste e scioperi nazionali che dureranno fino al 21 dicembre. Le autorità per tutta risposta hanno interrotto l’accesso a internet in tutto il Paese.

Redazione

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