Il caso
Torture in cella, per la prima volta agenti vanno a processo
Per la prima volta in Italia avrà luogo un processo in cui cinque persone in qualità di pubblici ufficiali sono accusati di tortura. Il Gup del Tribunale di Siena ha infatti deciso ieri di rinviare a giudizio cinque agenti di polizia penitenziaria accusati di aver malmenato un detenuto tunisino durante un trasferimento di cella, nel 2018 presso il carcere di Ranza (San Gimignano). La decisione del gup senese riguarda una prima tranche dell’inchiesta della Procura della Repubblica nella quale sono coinvolti altri dieci agenti della polizia penitenziaria del carcere di massima sicurezza di San Gimignano, le cui posizioni sono in corso di esame da parte della Procura. Il processo inizierà il 18 maggio 2021. Durante la stessa udienza di ieri un medico del carcere, che aveva scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 4 mesi di reclusione per rifiuto di atti d’ufficio, per non aver visitato e refertato la vittima.
«È la prima volta – sottolinea l’avvocato Simona Filippi, legale di parte civile per Antigone – che un medico viene condannato per essersi rifiutato di refertare un detenuto che denunciava di aver subito violenze. Speriamo che questo precedente aiuti a scardinare quel muro di complicità che a volte rischia di crearsi in casi simili». Per i 5 agenti, le contestazioni sono di lesioni aggravate, minaccia, falso ideologico e appunto, per la prima volta in Italia, tortura. Il caso è noto alle cronache perché lo stesso leader della Lega Matteo Salvini, espresse solidarietà agli agenti e visitò il carcere senese davanti al quale la Lega organizzò una manifestazione di solidarietà nei confronti degli agenti. Tuttavia, come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio presentata dal pm Magnini «gli agenti, abusando dei poteri o comunque violando i doveri inerenti alla funzione o al servizio svolto, con il pretesto di dover trasferire da una cella all’altra il detenuto A.M., che si trovava in regime di isolamento (illegittimamente disposto dalla stessa polizia penitenziaria), con condotte di violenza, di sopraffazione fisica e morale e comunque agendo con crudeltà e al solo scopo di intimidazione nei confronti del medesimo A.M. e degli altri due detenuti in isolamento, cagionavano a quest’ultimo acute sofferenze fisiche e lo sottoponevano a un trattamento inumano e degradante, da cui derivava un trauma psichico per lo stesso A.M.»
Ma cosa sarebbe accaduto nel dettaglio? Leggiamo sempre quanto scrive il pm: gli agenti si recavano presso il reparto di isolamento; due “cogliendolo di sorpresa”, prendevano “per le braccia il detenuto che usciva dalla cella munito degli accessori per fare la doccia, lo spingevano brutalmente verso il corridoio”, un altro gli sferrava un pugno sulla testa “gettando il detenuto a terra e circondandolo (in modo tale da creare una sorta di parziale schermo rispetto alle telecamere)” lo colpivano “con i piedi in varie parti del corpo”; mentre il detenuto gridava per la violenza che stava ricevendo, gli agenti lo ingiuriavano con frasi del tipo: “Figlio di puttana, perché non te ne torni al tuo Paese, non ti muovere o ti strangolo, ti ammazzo!” e al tempo stesso urlavano “contro tutti i detenuti presenti nel reparto: infami, pezzi di merda, vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano”. Ma le presunte torture non finirono lì: il detenuto venne immobilizzato faccia a terra mentre due agenti lo tenevano per le braccia e il collo, un altro gli montava addosso con il suo peso “ponendogli un ginocchio sulla schiena”. Poi lo rialzarono “togliendogli i pantaloni e iniziando a trascinarlo” mentre un agente “lo afferrava nuovamente per la gola” e un altro “gli torceva un braccio dietro la schiena, per poi trascinarlo nella nuova cella”.
Il tutto si concluse con altri calci e pugni e con il detenuto lasciato in cella “semi-svestito, senza fornirgli coperte e il materasso della branda, almeno fino al giorno seguente”. Tra le parti offese costituitesi in giudizio insieme a quattro detenuti c’è quindi l’associazione Antigone, e anche il Garante delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, il cui legale è l’avvocato Michele Passione. Questi ci racconta: «l’aspetto singolare è che a sollevare il caso siano stati i detenuti dell’Alta Sicurezza che hanno scritto al magistrato di sorveglianza per denunciare i fatti. Si è creata una saldatura tra un detenuto comune e quelli di AS». Infatti, nella versione data dall’accusa e respinta dalla difesa c’è l’ipotesi che i fatti compiuti contro il detenuto tunisino fossero il pretesto per far capire chi contasse lì.
«È importante – continua Passione – che ci sia stato il primo vaglio giurisprudenziale ancorché di merito relativo al rinvio a giudizio in una vicenda processuale per tortura perpetrata da pubblici ufficiali. Questo non perché i pubblici ufficiali siano maggiormente sospetti rispetto ai privati cittadini nella predisposizione a commettere questi reati. Ma perché la Convenzione contro la tortura, ratificata dall’Italia, fa riferimento al maggior disvalore dell’illecito quando commesso da pubblico ufficiale; rappresenta la garanzia per ogni cittadino di essere in buone mani quando è nelle mani dello Stato. Proprio lo Stato è stato citato come responsabile civile in questa vicenda e quindi dovrà rispondere se gli imputati verranno condannati per quelle condotte, le quali non possono certo dirsi riferibili a delle mele marce perché qui si tratta di numerosi poliziotti penitenziari che a vario titolo dovranno rispondere di questo reato».
La costituzione di parte civile del Garante è fondamentale in un periodo in cui la Lega ne chiede l’eliminazione: «I detenuti così sanno che non sono soli. Era stata contestata la legittimazione del Garante, come di tutte le altre associazioni, osservandosi a torto che non fosse soggetto istituzionale deputato a tutelare quegli interessi; ciò è bizzarro perché il Garante Nazionale ha tra le varie fonti che lo hanno introdotto nel nostro ordinamento anche il Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura. Siccome si tratta per la prima volta di un’accusa di tortura mi pare evidente quale fosse la legittimazione del Garante».
«Il rinvio a giudizio per tortura è una notizia che speriamo dia ristoro alle vittime», è il commento invece di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone: «la tortura è un crimine che va indagato con decisione, così come è stato fatto. La tortura, purtroppo, esiste ma fortunatamente ora esiste anche una legge che la punisce. Infine, un invito al ministero della Giustizia e al Governo tutto: si costituisca parte civile. Così garantiremo maggiormente quell’enorme fetta di operatori che si muovono nel solco della legalità». Amarezza per la decisione del Gup è stata espressa invece da Manfredi Biotti, legale di quattro dei cinque agenti rinviati a giudizio.
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