Cinque agenti della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere “Panzera” di Reggio Calabria, più il comandante degli stessi, Stefano La Cava, sono stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare e posti agli arresti domiciliari nell’ambito di una inchiesta su presunte torture ai danni di un detenuto dell’istituto penitenziario.

Nei confronti dei sei agenti sono contestate le accuse di tortura e lesioni personali aggravate ai danni di un detenuto napoletano, il 30enne Alessio Peluso, ritenuto esponente di spicco della camorra: nell’inchiesta vi sono altre due indagati, il gip ha disposto per loro la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio.

Nell’ordinanza, riportata dall’Ansa, si legge che gli agenti indagati “conducevano illegittimamente il detenuto in una cella di isolamento, senza alcuna preventiva decisione del Consiglio di disciplina ovvero senza alcuna previa decisione adottata in via cautelare dal direttore, serbando gratuite condotte di violenza e di sopraffazione fisica che cagionavano al detenuto acute sofferenze fisiche mediante più condotte e sottoponendolo ad un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona“.

Il pestaggio che ha portato agli arresti odierni risale al 22 gennaio 2022, giorno in cui l’ex ministro della Giustizia Marta Cartabia era in visita nel carcere “Panzera”. Peluso aveva messo in atto una protesta, rifiutandosi di far rientro nella cella dopo aver usufruito del previsto passeggio esterno. Il detenuto era stato trasferito a Reggio Calabria poiché era riuscito precedentemente a introdurre nel carcere di Frosinone una pistola.

Secondo le indagini coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri e dal pm Sara Perazzan e condotte dalla Squadra mobile di Reggio Calabria, la reazione degli agenti fu violentissima: il 30enne napoletano è stato colpito ripetutamente con i manganelli in dotazione di reparto, ma anche con dei pugni. Gli agenti coinvolti, inoltre, lo hanno fatto spogliare lasciandolo semi nudo per oltre due ore nella cella dove era stato condotto.

A dimostrazione della accuse mosse agli agenti della polizia penitenziaria, Peluso nel corso della celebrazione di un processo in videoconferenza con il Tribunale di Napoli si era tolto la maglietta in diretta per mostrare i segni delle percosse subite.

La posizione più grave nell’inchiesta è quella del comandante della polizia penitenziaria della casa circondariale di Regio Calabria. A Stefano La Cava, scrive l’Ansa, vengono contestati i reati di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico per induzione, omissione d’atti d’ufficio, calunnia e tentata concussione.

Il comandante avrebbe infatti tentato di costringere illegittimamente un suo sottoposto a mostrargli delle relazioni di servizio relative alla sorveglianza di Peluso, il detenuto pestato. Per questo il pm Perazzan ha formulata a suo carico anche l’ipotesi di reato di tentata concussione.

Con quello di Reggio Calabria è il terzo caso di torture in carcere che emerge nel solo mese di novembre dopo quelli emersi nelle inchieste sugli istituti di reclusione di Bari e Ivrea.

Redazione

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