Il prossimo giro di regionali è alle porte. Il Veneto, dove si voterà il prossimo anno, è una piazza politicamente fondamentale soprattutto per gli equilibri nel centrodestra. Un governatore uscente come Zaia, ormai diventato un brand con un suo valore autonomo, la Lega che rivendica la sua storia territoriale, Fratelli d’Italia forte dei numeri nazionali, Forza Italia che non ha dimenticato i fasti dell’era Galan e questa volta ha intenzione di giocare la partita della riscossa puntando fin da ora su Flavio Tosi – oggi parlamentare europeo azzurro – l’unico che al governatore più amato dagli italiani arrivò perfino a lanciare il guanto di sfida presentandosi nel 2015 con una sua lista autonoma dopo uno strappo rabbioso con la lega di Salvini.
Zaia rivendica il traguardo dell’autonomia e persino accarezza l’idea di accogliere una conferenza di pace per il Medio Oriente. Lei guarda il tutto da Bruxelles, come le sembra?
«Il mio partito, il mio segretario, Antonio Tajani, ha già posto ufficialmente la mia candidatura quale governatore del Veneto. Ci si muove in uno scacchiere che comprende la Puglia, la Campania, la Toscana, cioè le altre regioni al voto: in quello scacchiere, Forza Italia vuole portare a casa il Veneto candidando Flavio Tosi».
C’è una voglia di affermare un ruolo che va oltre il Veneto. La sua collega Cristina Rossello, responsabile di Forza Italia Milano, ha detto che non accetterà sudditanze. La pensa così anche lei?
«C’è un partito prevalente che è Fratelli d’Italia e che quindi rivendica una serie di candidature. Però avere una serie di candidature non vuol dire averle tutte. FdI dovrà lasciare delle candidature anche a FI e alla Lega, e quindi è su questo che lavoriamo. Pensiamo che in questo risiko a noi tocchi il Veneto».
In campagna elettorale ci si giocherà il tema dell’autonomia. A lei piace così come la si sta portando a casa?
«La mia storia è stata in Lega per 25 anni, quindi avrei sperato in qualcosa di più. Però capisco anche che è indispensabile una mediazione tra Nord e Sud, e se vuoi portare a casa l’autonomia devi trovare un compromesso tra tutti i territori. Questa è l’autonomia possibile».
Zaia ha più volte espresso politiche liberali, come sul fine vita, divergenti rispetto al partito, tanto da far sospettare lo strappo con Salvini, che però non arriva mai. Solo tatticismi? O a via Bellerio va trovata una quadra?
«Ma non succederà mai nulla, lo dice la storia. Sono tatticismi, appunto. C’è un po’ il gioco delle parti. Anche storicamente in Lega, quando c’era Borghezio, Bossi, Maroni, c’erano delle posizioni che venivano portate avanti in modo diverso, per raggiungere elettorati diversi. È un gioco che funziona e che non porterà a nessuno strappo. Zaia portai voti più moderati, Salvini voti più estremisti.
Tra un anno i voti di Zaia a chi andranno?
«Verranno spartiti nel centrodestra ma qualcosa andrà anche al centrosinistra, perché quel 75% alle ultime regionali del 2020, Zaia l’ha preso con la Lega, noi e Fratelli d’Italia. Mi sembra chiaro che dentro ci sia stato anche un voto di centrosinistra. Quindi quella parte là tornerà. Il resto si spartirà in maniera più equa rispetto all’ultima volta, quando Lega e Zaia da soli hanno fatto il 60%. È chiaro, ci sarà un ridimensionamento».
Si aprono delle prospettive, soprattutto per chi esprime posizioni liberaldemocratiche.
«Esattamente. Ma lo dico con la consapevolezza di come è l’elettorato veneto. Quella è la sua inclinazione».
Poi c’è tutta l’area in cerca di una casa. Come il terzo polo che in Veneto avrebbe un suo potenziale.
«Spero che FI, intercetti quella classe dirigente, non solo i voti. Quegli esponenti, quei militanti delusi da Renzi e da Calenda, tantopiù dopo la svolta verso il centrosinistra delle Europee. Come Forza Italia vorrei riuscire a portare a casa dirigenti ed elettori».
La campagna elettorale si deciderà anche sulla sanità. Il governo Zaia si può vantare del secondo posto nella classifica nazionale per la qualità del servizio sanitario. Lei è stato assessore regionale, vede comunque qualche criticità?
«Ci sono due problemi. Il primo è di organizzazione territoriale: da anni il Veneto non riorganizza il sistema sociosanitario che batte in testa per quanto riguarda le liste d’attesa e case di riposo. Il secondo è il tema risorse: dal momento che la sanità è una competenza esclusiva delle regioni, vuol dire che è responsabilità di chi le governa anche mettere i soldi. Al di là delle classifiche, se si parla con i veneti è evidente il problema delle case di riposo, delle liste d’attesa per le prestazioni, delle attese nei pronto soccorso, delle liste d’attesa anche per gli interventi cosiddetti programmati. Rimaniamo un’eccellenza assoluta sugli interventi chirurgici molto, molto complessi. Il Veneto su quello è straordinario. Ma sull’aspetto territoriale oggi il sistema è in crisi».
Ogni tanto riemerge la questione terzo mandato, e Zaia ha detto che ai cittadini piacerebbe rieleggerlo ancora.
«Il terzo mandato si continua a raccontare ma non ci sarà mai per due motivi: perché il Parlamento, sia in commissione che in aula, l’ha già cassato tre volte e con una maggioranza bulgara. E per un buon motivo politico. Si vota contemporaneamente in Puglia, Toscana, Campania e Veneto. Con i tutti i governatori uscenti che hanno – potenzialmente – il problema del terzo mandato. Ma mentre in Veneto il centrosinistra non tocca palla chiunque il centrodestra candidi, le altre regioni sono contendibili e lì si offrirebbe una chance alla sinistra per vincere ancora».
E allora perché se ne continua a parlare anche in Veneto?
«Perché Zaia per tenere uniti i suoi deve dare questo segnale, questa speranza, altrimenti rischia un fuggi-fuggi generale. Se fosse di nuovo Zaia il candidato la Lega farebbe ancora numeri importanti, senza di lui fanno meno della metà».
La conferenza di pace sul Medioriente a Venezia?
«Si tratta di un argomento di pertinenza di Meloni e Tajani».