Tecnicamente si chiama manovra a tenaglia. I von Clausewitz della Procura di Genova hanno pianificato un’azione strategica con cui, arrivando contemporaneamente sui due fianchi del “nemico”, lo hanno stretto come tra le morse di una tenaglia. In pratica quella in cui è finito “stritolato” il governatore della Liguria Giovanni Toti, agli arresti domiciliari dal 7 maggio. Eppure oltre due mesi di isolamento non sono bastati, la difesa del presidente ha resistito, almeno fino alla mossa decisiva. Quella di far circolare insistentemente l’ipotesi di un processo immediato entro i primi di agosto, una possibilità che riguarda solo gli inquisiti che sono in carcere o ai domiciliari. Come Toti per l’appunto (oltre all’imprenditore Aldo Spinelli e all’ex presidente del porto Paolo Emilio Signorini) che nel caso di giudizio lampo rischierebbe una carcerazione ancora più lunga, almeno fino a ottobre del 2025. Tanto da far rientrare l’altra “offerta” che la Procura esercita da settimane: il governatore si dimetta, per evitare la reiterazione del reato.
Toti si dimette da governatore della Liguria
La resa obbligata ‘grazie’ anche al suo centrodestra
Nel frattempo, naturalmente, anche la “Maginot” politica è crollata: l’incontro con Salvini sospeso, il vertice del centrodestra rinviato sine die, la Lega pronta a preparare le liste per le elezioni, il sindaco di Imperia Claudio Scajola che gli consiglia il passo indietro, proponendo la candidatura di un civico. In questo modo la resa diventa obbligata e Giovanni Toti potrebbe farla molto presto: davvero l’ultima speranza di poter uscire dal domicilio di Ameglia, il paesino al confine con la Toscana, dove il presidente è recluso da oltre 75 giorni. Vittoria piena dei giudici quindi, che riescono ad annientare una giunta regionale, eletta dal popolo per ben due volte. Una vicenda che sembra destinata a concludersi esattamente come in Abruzzo ai tempi di Ottaviano Del Turco, il presidente arrestato per associazione a delinquere e assolto 9 anni dopo.
Il campo largo festeggia dopo due sonore sconfitte
Intanto a Genova il campo largo si prepara a festeggiare, dopo aver rievocato il trentunesimo anniversario delle monetine del Raphael. Ieri contro Bettino Craxi, oggi contro il presidente della Liguria, da cui aveva subito due cocenti sconfitte. Nel 2015 la vittima fu l’attuale coordinatrice di Italia Viva Raffaella Paita (allora nel Pd e delfina del governatore Claudio Burlando, anche lui a lungo inquisito) e nel 2020 Ferruccio Sansa, una sorta di Marco Travaglio al pesto. La settimana scorsa il centrosinistra aveva convocato nel capoluogo della Liguria le proprie “star”: Elly Schlein, Giuseppe Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Una manifestazione “forcaiola” nel giorno giusto, la mattina la Procura aveva emesso il secondo mandato d’arresto per Toti (finanziamento illecito per aver favorito l’apertura di nuovi supermercati Esselunga). Per dire che già allora si considerava il governatore alle battute finali. Tanto che il Nazareno dava già per scontate le elezioni, inserite nel filotto considerato favorevole di Emilia Romagna e Umbria, Regioni che potrebbero andrebbe al voto il 17 novembre. E con un candidato in pectore virtualmente pronto (almeno che non riesca a svincolarsi), l’ex ministro (anche della Giustizia) Andrea Orlando. Quindi laddove non era riuscita la politica, arriva la magistratura e toglie dal campo un avversario tosto, come l’ex giornalista di Mediaset.
Toti, a settembre Cassazione su Riesame e domiciliari
Una pratica che anche lo storico esponente dei Ds Cesare Salvi censura: “La politica dovrebbe attendere quanto meno decisioni più avanzate della magistratura”. Il riferimento è al pronunciamento atteso per settembre dalla Cassazione sul riesame e sui domiciliari. “Usano le indagini per attaccare l’avversario – ragiona Salvi chiacchierando con Il Foglio – Sta succedendo a Genova, come a parti invertite è successo a Bari”.
E dire che nel mezzo della bufera arriva anche il sondaggio dell’emittente genovese Primo Canale, secondo cui il 51% dei liguri conferma un giudizio positivo (46% contrario) sull’operato del presidente in questi anni. Una popolarità che resiste e che l’ormai quasi ex presidente spera di poter sfruttare per mettere in salvo almeno la sua eredità politica. Tornato un cittadino libero, l’ex direttore del Tg4, spera di poter raccontare la sua verità. Una possibilità negata da oltre 70 giorni. Per di più con uno stuolo di collaboratori in Regione messi sotto torchio e intimiditi dalla Procura. E con una minoranza rianimata dalle inchieste, che ha fatto il dodicesimo uomo in campo della magistratura, fino alla vittoria finale attesa a momenti.
Elezioni Liguria, il totonomi per il post Toti
Liberati dall’ingombrante peso del leader che in quasi dieci anni ha trasformato politicamente la Regione (conquistando tutte le amministrazioni comunali da Sarzana ad Imperia), per gli schieramenti politici ora si passerebbe alla battaglia elettorale vera e propria. Che nonostante la pesante inchiesta, è tutto meno che scontata. Intanto per i due candidati più quotati alla successione, entrambi recalcitranti alla beatificazione. Il primo per il centrodestra è il viceministro Edoardo Rixi, braccio destro di Matteo Salvini alle Infrastrutture (incarico già ricoperto nel Conte giallo verde). Anche lui vittima di un’inchiesta giudiziaria sulle spese pazze in Liguria finita nel nulla, con un’assoluzione perché “il fatto non sussiste”. Il genovese fa resistenza, così non scompaiono del tutto le percentuali di investitura della moderata Ilaria Cavo (considerata in buoni rapporti con Fratelli d’Italia) e dell’assessore regionale Marco Scajola, nipote del primo cittadino di Imperia. Dall’altra parte lo spezzino Andrea Orlando, un volto politico nazionale da tanti anni, più conosciuto nel centro storico di Roma che in Liguria. Oltre al candidato, nel centrosinistra si pone anche il tema del perimetro politico dell’alleanza. Ovvero sull’onda del giustizialismo, Italia Viva con Raffaella Paita (anche lei a sua volta inquisita e assolta, oltre che sconfitta da Toti), riuscirà a farne parte? “Dunde ne vegnì duve l’è ch’ané”, si chiederebbe Fabrizio De André.