L’ultima pagina della vicenda giudiziaria l’ha scritta, insieme al giudice che ha deciso la sua pena, personalmente Giovanni Toti con “Confesso: ho governato”, l’unica sua ammissione di responsabilità. Perché, nella proposta di patteggiamento accolta ieri dal gup Matteo Buffoni, gli unici ad aver fatto una clamorosa marcia indietro rispetto alle accuse che avevano portato il governatore della Regione Liguria agli arresti il 7 maggio erano stati i pubblici ministeri. I quali avevano dovuto ammettere che ogni atto della pubblica amministrazione del governo Toti era pienamente legittimo, così come lo era ogni versamento effettuato da alcuni imprenditori nei confronti della sua lista elettorale.

E anche, ciliegina sulla torta, che neppure un euro era mai entrato nelle tasche del principale imputato dell’inchiesta. Toti non ha mai potuto ammettere comportamenti che non ha mai considerato illeciti, ma ha deciso di stipulare un accordo davanti alla follia di una giustizia che quando ti mette i denti nel collo non li toglie più, e di una politica imbelle che non riesce a capovolgere il teorema per cui ogni versamento a un partito sia necessariamente una mazzetta.

Così da oggi, cioè dai primi di gennaio 2025, l’ex governatore della Liguria – il pupillo di Silvio Berlusconi, ottimo allievo nella capacità di mietere consensi in due tornate elettorali – non solo percorrerà lo stesso sentiero del suo mentore nell’assistenza sociale alla “Lega italiana per la lotta contro i tumori” (LILT) della Liguria, ma resterà prigioniero per un certo numero di anni della sciagurata Legge Severino che nessun Parlamento, salvo piccoli ritocchi della legge Cartabia, ha ancora avuto il coraggio di correggere. Prima di tutto varrà l’interdizione dai pubblici uffici per il tempo della condanna, 820 giorni che si tradurranno in 1.620 ore di attività presso la LILT, in cui saranno mescolate le competenze comunicative del giornalista con le attività di tipo sociale. Berlusconi aveva saputo trasformare la pena in soddisfazione per sé e per gli ospiti della Sacra Famiglia con un’empatia straordinaria. A Toti viene richiesta una presenza fisica sia nell’Istituto che nei presidi sanitari come l’ospedale San Martino di Genova, per rispondere al telefono, fissare appuntamenti e sbrigare burocrazie varie.

Dovrà fare anche un po’ l’autista se qualche paziente oncologico si dovesse trovare in difficoltà a raggiungere il luogo delle cure. Sarà, insomma, una specie di jolly a disposizione dell’associazione. Ma forse il ruolo più rilevante sarà quello della comunicazione, perché per la Lega – come per tutte le associazioni che promuovono la ricerca sul cancro e la prevenzione – è fondamentale la presenza sul territorio anche attraverso campagne pubblicitarie che coinvolgano la gran parte della popolazione.

Ma intanto la Legge Severino è un bel cappio sul collo. Teoricamente chi ha patteggiato la pena per un reato di corruzione – anche se nel caso di Toti si tratta di quella “atipica” – non dovrebbe potersi più candidare a nessuna carica di tipo amministrativo, né in Comune né in Regione. Mentre per quel che riguarda le assemblee legislative di Camera e Senato ci sarebbe un’attesa di 6 anni a partire dal giorno in cui si è terminato di scontare la pena. In questo caso, dopo i 2 anni e tre 3 della sentenza. Tutto teorico, perché esiste la possibilità della riabilitazione, un vero processo che si celebra davanti al Tribunale di sorveglianza. Questo è il futuro prossimo che attende l’ex governatore della Regione Liguria, così come i suoi due principali coimputati Aldo Spinelli e Paolo Emilio Signorini, condannati rispettivamente a 3 anni e 3 mesi e a 3 anni e 6 mesi, che non torneranno agli arresti per gli effetti della Legge Simeone-Saraceni sulle condanne inferiori ai 4 anni.

È impossibile mettere la parola fine a questa vicenda senza ricordarne le tante anomalie. La mafia, prima di tutto, che fine ha fatto? Quella contestazione di un reato gravissimo, che non ha riguardato direttamente Toti ma altri coimputati, ha consentito agli investigatori di usare corsie referenziali sui tempi di indagine così come sulle intercettazioni. Il procuratore capo di Genova, Nicola Piacente, ieri ha sentito il bisogno di convocare una conferenza stampa nella quale ha puntualizzato particolari minori – come l’orario dell’arresto del governatore – ma si è tenuto alla larga dalle questioni di fondo. Come per esempio una notizia uscita una settimana fa sul Secolo XIX dal titolo “Inchiesta Toti, prescritto reato contestato a Colucci”.

Perché è importante questo imprenditore impegnato nel settore delle discariche? Perché certe indagini e intercettazioni erano partite proprio da lui, e solo dopo gli ascolti telefonici erano saltati fuori i nomi di Aldo Spinelli e gli altri indagati. E del resto lo aveva ammesso la stessa gip Paola Faggioni nell’ordinanza che disponeva i domiciliari per Toti quando aveva scritto: “Sono iniziate così, in data 9-1-2021 le intercettazioni telefoniche a carico di Giovanni Toti che, sebbene non abbiano consentito di trovare ulteriori riscontri all’ipotesi corruttiva inizialmente ipotizzata a carico di Toti e Pietro Colucci, hanno svelato gli ulteriori rapporti corruttivi contestati nel presente procedimento”.
Ecco la quadratura del cerchio. Si intercetta, con l’alibi della mafia, per un finanziamento illecito già prescritto e per una corruzione poi ridimensionata. Ma intanto si fa la pesca a strascico, alla ricerca di qualcuno o qualcosa d’altro. Cerca cerca, qualcosa si troverà…

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.