Il segretario leghista parla a Saronno
Totoministri del governo Meloni: Salvini molla gli Interni e chiede la Natalità, tre in corsa per la Giustizia

Matteo Salvini è l’elefante nella stanza. Di lui si può non parlare, ma c’è. Si sa che c’è. E ieri il leader leghista ha battuto un colpo da pachiderma, di quelli che rischiano di fare danni nella cristalleria dei bilancini ministeriali: «Per quanto mi riguarda chiederò per la Lega alcuni ministeri come quello per la Famiglia e la Natalità, perché bisogna tornare a mettere al mondo figli senza tanti problemi». Il segretario leghista parla a Saronno, in provincia di Varese, in un incontro a porte chiuse, prima tappa del “tour di ascolto” del partito dopo il poco soddisfacente risultato elettorale. Ma un audio viene subito diffuso e diventa il caso del giorno.
La conferma della richiesta leghista arriva dal capogruppo al Senato Massimiliano Romeo: «Con questo governo si spera di concretizzare i progetti che in Parlamento abbiamo più volte sostenuto, cercando di seguire l’esempio delle politiche del Trentino Alto Adige, la Regione che ha l’indice di natalità più alto». A dire il vero il tema del ministero per la Famiglia, il più “ungherese” dei ministeri, per la Lega non è affatto nuovo. Fu ministro nel governo Conte 1 il vice segretario di Salvini, Lorenzo Fontana, fu ministra per breve tempo Alessandra Locatelli, che oggi fa l’assessora in Lombardia con la stessa delega.
Proprio lei potrebbe essere il nuovo ministro. In realtà, ad oggi ricopre lo stesso incarico in Consiglio dei ministri Erika Stefani. Che però potrebbe diventare la responsabile degli Affari regionali per dare un impulso alle Autonomie regionali, uno dei punti forti del programma leghista. Ma nella Lega circola il nome, come possibile ministro all’Innovazione, di un altro assessore lombardo: Stefano Bolognini. La voce è riemersa con forza dopo che Matteo Salvini ha incontrato il presidente di Arexpo (la società che gestisce le aree dove si svolse Expo 2015) Igor De Biasio. Il primo dicastero “milanese”, il ministero all’Innovazione, potrebbe sorgere lì. Se Salvini è tornato ad alzare le spalle per liquidare il risultato delle urne («Abbiamo pagato il sostegno al governo Draghi»), si sono notate le prese di posizione di diverso avviso. Giancarlo Giorgetti, per esempio: «Salvini mi smentirà, ma non è stato un errore sostenere il governo».
I congressi si faranno, tutti. Lo ha promesso Salvini stesso proprio là, nel cuore della Lombardia, dove l’aria di fronda soffia più forte. Francesco Speroni gli chiede se i leghisti possano sostenere l’iniziativa di Umberto Bossi e Salvini pare non abbia nulla da obiettare: «Se Umberto Bossi fa il comitato del nord è giusto che si faccia il comitato del nord». La tensione a via Bellerio rimane palpabile. Giorgia Meloni ne tiene conto nel bilancino con cui lavora alla lista dei ministri che andranno a comporre il suo governo. Il puzzle deve incastrarsi perfettamente, o inizierà presto a scricchiolare. I “draghiani” sono la quarta componente, il “partito delle istituzioni” che andrà a fare quell’iniezione di cemento armato indispensabile per blindare Palazzo Chigi e metterlo al riparo dagli scossoni.
Per il Mef brilla a proposito dei draghiani, tra i nomi in lizza, quello di Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea e che sarebbe in cima alla lista di preferenze di FdI. Per gli Esteri invece i nomi in lizza rimangono ancora cinque: Elisabetta Belloni (ora al Dis),il diplomatico Giampiero Massolo, Antonio Tajani, Stefano Pontecorvo, che è stato l’alto rappresentante della Nato in Afghanistan e ambasciatore italiano in Pakistan e Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli Esteri con Monti. Lista che si riduce a quattro per la Difesa: anche qui troviamo Tajani, poi Adolfo Urso, Senatore di Fratelli d’Italia, il generale Luciano Portolano e Guido Crosetto.
All’Interno si parla del prefetto Matteo Piantedosi, ma anche dell’avvocata leghista Giulia Bongiorno e di Giuseppe Pecoraro. Alla Giustizia in lizza sembrano esserci tre nomi: spunta di nuovo quello di Bongiorno, oltre che quello dell’ex magistrato Carlo Nordio e quello del forzista Francesco Paolo Sisto. Per la Salute prendono piede i nomi di: Francesco Rocca, presidente del Comitato Nazionale della Croce Rossa Italiana, Guido Rasi (Ema), Giorgio Palù (Aifa), Francesco Vaia (direttore dello Spallanzani di Roma) e Licia Ronzulli. Tutti gli alleati del centrodestra, pur sbertucciandosi tra loro in attesa della definitiva composizione dell’esecutivo, si sono trovati a fare quadrato intorno alla premier incaricanda. A offrire l’occasione una scivolata diplomatica della nuova ministra per i rapporti con l’Europa del governo francese, lanciata da Repubblica.
“Vogliamo lavorare con Roma ma vigileremo su rispetto diritti e libertà”, avrebbe dichiarato la neoministra Laurence Boone, per la quale “è importante che il governo Meloni resti nel fronte europeo contro Mosca e in favore delle sanzioni”. “Rispetteremo la scelta democratica degli italiani – afferma – L’Europa deve rimanere unita, in particolare nell’affrontare la guerra che la Russia ha dichiarato in Ucraina, con le sanzioni che abbiamo adottato. Su questo punto, Meloni ha espresso chiaramente il suo sostegno a ciò che l’Europa sta facendo. Dopodiché è chiaro che abbiamo delle divergenze. Saremo molto attenti al rispetto dei valori e delle regole dello Stato di diritto. L’Ue ha già dimostrato di essere vigile nei confronti di altri Paesi come l’Ungheria e la Polonia”.
La Francia è favorevole all’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti umani dell’Ue, “abbiamo bisogno dell’unanimità, quindi – sottolinea – dobbiamo riuscire a convincere tutti i Paesi. Dobbiamo portare una voce per la salvaguardia dei diritti delle donne, delle minoranze sessuali e di tutte le minoranze in generale. Quando vediamo quello che è successo negli Usa, capiamo che dobbiamo rimanere estremamente vigili”. Un fuorigioco c’è. Rimane da capire se involontario. Certo, nel centrodestra c’è chi non aspettava altro. Pronta infatti, e molto applaudita, la replica della leader di FdI, Giorgia Meloni, con un post su Fb: “Voglio sperare che la stampa di sinistra abbia travisato le dichiarazioni fatte da esponenti di governo stranieri e confido che il Governo francese smentisca queste parole, che somigliano troppo a una inaccettabile minaccia di ingerenza contro uno Stato sovrano, membro dell’Ue. L’era dei governi a guida Pd che chiedono tutela all’estero è finita”.
Da Parigi, per ora, nessuna risposta. Parla però Mattarella che ribatte alle preoccupazioni europee: “L’Italia sa badare a se stessa”. Gli fa eco Draghi da Praga: “In Ue nessun timore per il nuovo governo italiano”. Nel Pd si raccolgono le idee, il giorno dopo la direzione. Sotto le torri bolognesi, diventate epicentro del sismografo dem, il mantra è: nervi saldi e niente panico. Stefano Bonaccini, reduce dalla lunga riunione del vertice del Nazareno – una sorta di lunga seduta di “autoanalisi” – cerca di tenere la barra dritta e i nervi saldi. “Il Pd è un progetto ancora attuale. Partendo dalla cancellazione del nome e del simbolo, affronteremmo un congresso in cui si parla della forma, mentre credo dovremmo parlare di sostanza e contenuti”, scandisce Bonaccini, che non scopre le carte rispetto alla sua eventuale corsa alla segreteria. Contattata dal Riformista, anche Elly Schlein preferisce aspettare a fare commenti. Il silenzio dei due potenziali contendenti indica che nessuno dei due è pronto a fare un passo indietro.
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