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Tour de France, la dicotomia Pogačar – Vingegaard e l’orgoglio di Ciccone
Chi è il più forte dei due? C’è chi ama di più il primo perché è un campione tutto l’anno, non solo al Tour. E chi invece preferisce il secondo, perché è uno scalatore fortissimo ed è anche diventato probabilmente il cronoman più potente sulla piazza
Con la seconda vittoria consecutiva al Tour de France, conquistata perentoriamente nella terza e ultima settimana della corsa, il “robot” danese Jonas Vingegaard pareggia il conto con il “cannibale” sloveno Tadej Pogačar: adesso il bilancio è di due Grande Boucle a testa, dopo i due Tour precedentemente vinti da Pogačar nel 2020 e 2021. Per la verità, Pogačar è ancora leggermente in vantaggio nel confronto diretto con Vingegaard, essendo arrivato due volte secondo dietro al danese nella competizione francese: quest’anno (anche perché in ritardo di condizione dopo l’infortunio al polso) e l’anno scorso (perché non aveva praticamente squadra). Mentre il danese è arrivato secondo dietro allo sloveno soltanto una volta, nel 2021.
D’altronde, Vingegaard fino a pochi anni fa lavorava in una fabbrica di pesce, prima di essere scoperto come ciclista e lanciato ai più alti livelli dalla Jumbo-Visma.
I suoi sostenitori sottolineano che già nel 2021 il danese riuscì a staccare Pogačar sul Mont Ventoux, pur arrivando secondo a Parigi con oltre 5 minuti di ritardo dall’avversario. E che, dunque, le due vittorie di Vingegaard al Tour del 2022 e 2023 non sono dipese da occasionali defaillances del “cannibale” ma dall’esplosione di un campione che sin dall’esordio dimostrò subito le sue eccezionali doti e che in seguito si è reso protagonista di una progressione costante di forza ed esplosività che lo hanno reso l’unico corridore del mondo in grado di far soffrire sua maestà Tadej Pogačar.
Nelle prime due settimane della Grande Boucle 2023, benché arrivato con un allenamento approssimativo, sembrava che Pogačar potesse riscattare la sconfitta dello scorso anno. La squadra della UAE Team Emirates, dopo una prima settimana opaca, manco fosse un gruppo di vecchie glorie stanche, nella seconda settimana di corsa aveva finalmente tirato fuori le unghie dimostrando di poter offrire al suo capitano il supporto che gli era mancato lo scorso anno. Si erano mostrati brillanti i suoi compagni Rafal Maika e soprattutto Adam Yates. Sicché, non più solo come nel 2022, quando finì nella morsa dello squadrone della Jumbo-Visma, Pogačar aveva recuperato il modesto ritardo che nella tappa del Col Marie Blanque aveva accumulato su Vingegaard, facendo innervosire alquanto l’avversario.
In una serie di mini-confronti diretti su alcune salite, a cominciare dalla tappa pirenaica del Tourmalet, lo sloveno era sempre riuscito a staccare nel finale Vingegaard. All’arrivo di Cauteret-Cambasque Tadej era arrivato primo al traguardo, facendo perfino l’inchino al pubblico sotto lo striscione d’arrivo. Nei giorni successivi aveva guadagnato secondi preziosi sul danese anche sulle vertiginose pendenze del Puy-de-Dome e poi sul Grand Colombier. Forse ci sarebbe riuscito anche nella tappa con arrivo a Morzine Les Portes du Soleil, se il suo scatto micidiale a poche centinaia di metri dal Col de Joux Plane non fosse stato stoppato da un ingorgo di moto. Ma già nella successiva frazione con arrivo a Saint-Gervais Mont-Blanc al “cannibale” era mancata la forza per staccare Vingegaard. E lui e la maglia gialla erano giunti insieme al traguardo spalla a spalla. Il Tour si fermava pertanto per un giorno di riposo prima dell’ultima settimana di corsa con i due “mostri” separati in classifica da pochi secondi, praticamente alla pari.
Ma poi, il 18 luglio, è arrivata la cronometro individuale di Passy-Combloux, che ha fatto letteralmente saltare la corsa. Pogačar spingeva a tutta ma appariva appesantito, scomposto in sella, pur infliggendo alla fine oltre un minuto di distacco a uno specialista delle corse contro il tempo come Wout Van Aert. Ma quando è partito Vingegaard si è capito subito che il destino di quel cronometro era segnato. Il danese, come poi è stato rivelato dalla sua squadra, aveva studiato ogni dettaglio, ogni curva, ogni salita, ogni discesa. Sin dalla partenza ha corso sempre al limite.
Si era idratato scientificamente, sicché era perfino partito senza borraccia. E, diversamente da Pogačar e da molti altri corridori, non aveva neanche cambiato la bici ai piedi della salita della Côte de Domancy, risparmiando secondi. Sempre aerodinamico, sempre piegato sul manubrio, perfino sulle pendenze più dure, esprimendo tutta la sua potenza sui pedali, Vingegaard sembrava un autentico missile e al traguardo rifilava ben 1 minuto e 38 secondi a Pogačar e 2 minuti e 51 secondi al compagno di squadra Van Aert: una immensità. Una prova da extraterrestre.
Come se non bastasse, nella durissima tappa del giorno seguente, con il tremendo Col de la Loze da scalare, quando molti si aspettavano una pronta riscossa da parte di Pogačar, il “cannibale” sulle prime rampe della salita entrava subito in una crisi tremenda che rendeva palese il suo ritardo di condizione.
Si capiva a quel punto anche perché Tadej avesse affrontato alla “garibaldina” le prime due settimane, correndo sempre senza risparmiarsi contro il “robot” danese. Forse era consapevole del fatto che nella terza settimana non avrebbe poi avuto più sufficienti energie per contrastare un avversario così forte e preparato. In più, sulle rampe del Col de la Loze, Vingegaard dava il massimo per aumentare il suo in vantaggio in classifica sullo sloveno, che arrivava a traguardo con un ritardo di oltre 7 minuti e mezzo sul vincitore di giornata Felix Gall e a quasi 6 minuti dal danese, quarto sotto lo striscione. I giochi erano fatti. Vingegaard bissava così il successo del 2022 alla Grande Boucle, con un vantaggio finale a Parigi di oltre 7 minuti e mezzo su Pogačar e di quasi 11 minuti su Adam Yates, terzo.
Che altro da ricordare di questo combattutissimo ed emozionante Tour de France 2023? Intanto, che Pogačar fino all’ultimo non ha mollato ed è riuscito a vincere come fosse una “classica” del Nord la penultima tappa, quella sui Monti Vosgi, bruciando tutti gli avversari più forti sotto lo striscione. Poi che, grazie al bravissimo Giulio Ciccone, l’Italia ha finalmente rivinto la prestigiosa maglia a pois del più forte scalatore del Tour, dopo quella di Claudio Chiappucci del 1991. Infine, che abbiamo visto all’opera in questa edizione 2023 della Grande Boucle tanti eccellenti corridori, a cominciare dai gemelli Adam e Simon Yates (quest’ultimo ottimo quarto nella generale), il giovane spagnolo Carlos Rodriguez (quinto), il suo connazionale Pello Bilbao (sesto), poi l’australiano Jay Hindley, vincitore del Giro d’Italia 2022, che ha voluto testarsi sulle strade francesi (ottavo), ma soprattutto l’austriaco Felix Gall (ottavo), che in diversi momenti in salita è andato forte quasi come Vingegaard e Pogačar: un tipo che in futuro potrebbe rivelarsi un osso duro per entrambi. Senza dimenticare le gesta di quell’autentico fenomeno di Wout Van Aert, a cui va senza dubbio l’omaggio del corridore più combattivo del Tour, e l’emozionante passaggio solitario di Thibaut Pinot tra due immense ali di folla osannante sul Petit Ballon: un vero e proprio abbraccio da parte dei suoi tifosi a un generoso campione ormai giunto a fine carriera.
Le storie del ciclismo, da sempre, si basano sulle grandi rivalità: con questo Tour de France quella tra Pogačar e Vingegaard è ormai entrata definitivamente anch’essa nella leggenda. Chi è il più forte dei due? C’è chi ama di più Pogačar perché è un campione tutto l’anno, non solo al Tour. E chi invece preferisce Vingegaard, perché è uno scalatore fortissimo ed è anche diventato probabilmente il cronoman oggi più potente sulla piazza. I primi non amano Vingegaard perché, a loro avviso, non trasmette pathos e somiglia troppo a un altro “robot” del recente passato, anche lui programmato per vincere il Tour, Chris Froome.
I secondi, invece, rinfacciano a Pogačar di essere troppo spaccone, salvo poi prenderle di santa ragione dal danese sulle strade di Francia, cioè nella corsa ciclistica più importante al mondo, quella che veramente stabilisce le gerarchie.
Solo l’anno prossimo sapremo se il “cannibale” sloveno riuscirà a prendersi la rivincita agli Champs Élysées e a prevalere finalmente sul “robot” danese, dimostrandosi l’erede di Merckx in tutto e per tutto, o se invece Vingegaard darà ulteriore continuità ad una carriera che lo sta trasformando in un inesorabile killer della Grande Boucle.
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