Non ci stancheremo mai di chiedere che nella campagna elettorale napoletana si parli di programmi. La politica è – o dovrebbe essere – miglioramento della realtà a mezzo di idee che vengono rese compatibili le une con le altre in programmi da realizzare con azioni coerenti. Al posto dei programmi, però, abbiamo trascorso due mesi a inseguire l’autoqualificazione dei candidati come civici o politici: una disputa poco meno sensata di quella del sesso degli angeli. Ora, dopo il simpatico intermezzo di accuse reciproche a proposito dei tafferugli tra supporter, è il momento della triste incombenza delle polemiche sugli “impresentabili” e sulle “liste pulite”, stanco rituale che si ripete di elezione in elezione ormai da parecchi anni.

Ed è così che, per parare i prevedibili colpi degli avversari in vista della scadenza dei termini per la presentazione delle liste, si scatena una ridda di esternazioni che mettono tra parentesi la politica e trasformano la campagna elettorale in un “contest” di etica pubblica. Fulvio Martusciello definisce i condannati e perfino gli indagati «rifiuti» facendo un solo boccone della Costituzione, probabilmente a fini di lotta politica all’interno e all’esterno del suo partito. Il magistrato Catello Maresca intende chiedere ai candidati il casellario giudiziale e i certificati dei carichi pendenti anticipando, come diremo subito, un obbligo di legge. Gaetano Manfredi tira fuori il grande classico del codice etico per i candidati e aggiunge il comitato dei garanti, preposto alla valutazione delle candidature, di cui dovrebbero far parte anche due ex magistrati come Aldo De Chiara e Paolo Mancuso. Forse sarà necessario tornare sul tema, ma intanto fare un po’ di ordine non guasta.

Le elezioni locali sono sottoposte ad adempimenti di legge che vanno distinti rigorosamente da decisioni politiche ulteriori, al limite auto-obbliganti. Il decreto legislativo 235 del 2012 ha disciplinato casi di “incandidabilità”, limitati ai condannati definitivi per numerose tipologie di reati. Altro preciso obbligo di legge è il cosiddetto “certificato del casellario giudiziale a uso candidatura”, ai sensi della legge 3 del 2019, che al fine di contrastare i reati contro la pubblica amministrazione e favorire la trasparenza dell’operato dei partiti e dei movimenti politici prevede che, nei Comuni al di sopra dei 15mila abitanti, entro 14 giorni antecedenti la data delle competizioni elettorali di qualunque genere, i partiti, i movimenti e le liste hanno l’obbligo di pubblicare sul proprio sito internet il curriculum dei loro candidati e un recente certificato penale rilasciato dal casellario giudiziale.

A questi obblighi si è spesso, per scelta politica, aggiunta la spontanea presentazione delle liste alla Commissione Antimafia per un vaglio politico, che però potrebbe diventare obbligo di legge con il prossimo Decreto Semplificazioni e con effetto già dalle imminenti elezioni. Dunque, gli obblighi vigenti e incombenti non mancano. Se vi si aggiungono le “garanzie” contenute nelle esternazioni che abbiamo richiamato, si ha l’immediata sensazione di quanto la politica sia diventata subalterna all’azione della magistratura e tenda ad autocommissariarsi. Il primato della politica non richiederebbe forse di compiere scelte normative lucide e, al contempo, dotarsi di filtri per produrre scelte etiche sì, ma autonome da altri poteri?