Così la Cina provoca militarmente Taiwan. Con precisione la Military News Agency del Ministero della Difesa di Taiwan aggiorna, anche con mappe, il bollettino delle incursioni aeree cinesi all’interno della Zona d’identificazione della difesa aerea (ADIZ). Puntualmente, ad ogni incursione aerea cinese, l’aviazione militare di Taiwan ordina di fare alzare in volo alcuni jet militari armati che prontamente raggiungono la zona violata invitando l’aviazione di Pechino ad abbandonare lo spazio aereo, contemporaneamente viene messo in allarme il sistema missilistico di difesa. Gli sforamenti non sono solo provocatori, ma servano ai cinesi per misurare il tempo di reazione della difesa di Taiwan. L’ultima uscita dai confini si è registrata giovedì primo ottobre ad opera di un aereo antisommergibile modello Shaanxi Y-8. Da metà settembre la situazione si è aggravata, le incursioni sono state dodici.
Così il quotidiano Taiwannews che scrupolosamente tiene monitorata la situazione: «Il 16 settembre, il PLAAF (People’s Liberation Army Air Force) ha inviato aerei Y-8 in due sortite nell’angolo sud-occidentale dell’ADIZ di Taiwan. Due giorni dopo, il 18 settembre, 18 aerei cinesi sono entrati nell’area, di cui 12 hanno attraversato la linea mediana nello stretto di Taiwan. Il 19 settembre 19 aerei cinesi sono entrati nell’ADIZ da nord-ovest e sud-ovest, mentre il 19 settembre due Y-8 si sono intromessi nell’ADIZ al largo della costa sud-occidentale. Altri due Y-8 sono arrivati anche nell’angolo sud-occidentale dell’ADIZ il 21 settembre, seguiti da altri due Y-8 il 22 settembre». Metà settembre non è una data casuale: mentre il sottosegretario al Dipartimento di Stato Usa Keith Krach il 17 era in vista a Taiwan, i cinesi hanno lanciato un offensiva militare e verbale.
Non solo hanno fatto alzare in volo il solito aereo anti sommergibile, ma hanno rilasciato una dura (e improbabile) dichiarazione mezzo Global Times, il megafono in lingua inglese del governo di Pechino: «Gli Usa e l’isola di Taiwan continuano ad adottare la “tattica del salame” (conquistare pezzo per pezzo) per espandere i loro legami, accrescendo le vendite di armi Usa per l’isola e tentando di forzare la Cina continentale a seguire questo trend. Buttano pietre nell’acqua dello Stretto di Taiwan. Ma, se andassero troppo lontano, le pietre potrebbero diventare siluri, accrescendo le incertezze nell’intera regione e i rischi di scontri drastici nello Stretto di Taiwan». Siamo abituati agli eccessi verbali del Global Times, l’amplificatore di Pechino spesso usa colorite espressioni, alcuni suoi velenosi editoriali sembrano annunciare ineluttabili ed imminenti conflitti. Affermazioni e minacce più colorite che veritiere, sembrano mirate a soddisfare esigenze di politica interna.
Però bisogna obiettivamente considerare alcuni elementi che portano a far pensare ad un inasprimento delle relazioni tra Taipei e Pechino. Recentemente l’ex Presidente Chen Shui-bian in risposta alle manovre militari cinesi ha assicurato che «i taiwanesi non hanno paura delle intimidazioni cinesi e che nessuna potenza straniera ha il diritto di decidere il futuro di Taiwan». L’isola di Formosa non vuole essere sottomessa a Pechino così com’è accaduto per Hong Kong ora intrappolata da una nuova legislazione imposta da Pechino che, di fatto, vieta le libere proteste e calpesta molti legittimi diritti. La Cina non riconosce la sovranità di Taiwan. E lo Stretto, quel corridoio strategico che unisce il Mar Cinese Meridionale con quello Orientale, è quel braccio d’acqua salata dove transitano verso nord le petroliere dirette ad alimentare alcuni complessi di raffinazione cinesi, e verso sud navigano le navi porta container che trasportano merce Made in China diretta al mercato occidentale. Taiwan è il più importante produttore mondiale di semiconduttori al mondo, manifatture difficilmente riproducibili in poco tempo: ciò mina l’ambizione cinese post Covid-19 di raggiungere una rapida indipendenza tecnologica.
Non bisogna dimenticare che la prima voce dell’import della Cina sono i semiconduttori, dopo il petrolio. Inoltre, Pechino si è innervosito quando la gigantesca Taiwan Semiconductor Manufactoring ha deciso d’investire 12 miliardi di dollari per aprire un nuovo moderno stabilimento in Arizona negli Stati Uniti. Washington (insieme al Giappone) considera l’isola di Formosa un partner strategico per attuare la politica di contenimento della Cina. Nell’isola la tensione è palpabile: l’esercito di Taiwan sta considerando di aumentare la frequenza di convocazione dei riservisti.
Tensioni che si riscontrano anche nella corsa ad armarsi: Taiwan ha acquistato dagli Stati Uniti 108 carri armati e 250 missili Stinger per il valore complessivo di circa due miliardi di dollari. Ora si parla di una fornitura di 66 caccia della Lockheed Martin F16 per un valore che si avvicina agli otto miliardi di dollari. Insomma, Taiwan sta rafforzando le sue difese. Anche se non è certo una novità che Taiwan si rifornisca di armi dagli Stati Uniti: è dal 2008 che le acquista. Le attività di disturbo cinesi vengono, nella maggior parte dei casi, effettuate dall’aereo anti-sommergibile Shaanxi Y-8 prodotto dalla Shaanxi Aircraft Corportation che, sia pure con un equipaggiamento meno tecnologico, è stato venduto alla Birmania, Kazakistan, Sri Lanka, Sudan e Venezuela. È un grande aereo mosso da quattro motori a turbo elica, nella lunghissima coda affusolata e nel sagomato muso alloggiano sofisticate tecnologie per la ricerca di sommergibili. Come se la Cina volesse tenere sgombro lo Stretto da possibili incursioni o da presenze indesiderate. Un altro motivo di possibile tensione con la Cina è la presenza (e quindi il riconoscimento) in Vaticano dell’Ambasciata di Taiwan presso la Santa Sede.
Un tassello che potrebbe disturbare i negoziati riguardanti il rinnovo dell’accordo tra Pechino e il Vaticano. Le provocazioni, le attività di disturbo militari di Pechino nei confronti di Taipei sono palesi: con un evidente crescendo la Cina sta esercitando continue pressioni. Prudentemente è difficile offrire attendibili previsioni, probabilmente, ma questa certo non è una novità, possiamo attenderci limitate scaramucce navali nel grande spazio marittimo che termina nel Mar Cinese Meridionale dove si trovano le note “isole contese”. Rimane una zona a potenziale alta conflittualità tra le grandi potenze Cina e Stati Uniti.