Il vero problema è il regionalismo o è lo Stato che non sa maneggiare i “big data”? Meglio: l’ostacolo a una maggiore efficienza dell’intero apparato nazionale sono i Fontana e i De Luca o è l’incapacità italiana di “processare”, cioè organizzare e interrogare una quantità crescente di informazioni? Ancora meglio: a puzzare è la coda dello Stato o la testa? Andrea Orlando, vicesegretario del Pd, non ha alcun dubbio: a puzzare è la coda, cioè le Regioni, e dunque una delle prime cose da fare, appena usciti dall’emergenza sanitaria, sarà azzerarne le competenze in materia di sanità. Ma Orlando, che ha detto queste cose in due interviste al Giornale e all’Huffington Post, non è affatto solo.

È impressionante, anzi, la rapidità e la compattezza con cui i partiti di maggioranza (ma non solo i partiti: Travaglio vorrebbe raderle al suolo) hanno individuato nelle Regioni le responsabili di tutto quello che sta succedendo in questi giorni sul fronte delle terapie intensive, delle attrezzature sanitarie e, più in generale, della resistenza al coronavirus. Ed è parimenti impressionante come gli stessi partiti stiano invece sottovalutando tutto il testo. Sia chiaro: un nuovo equilibrio dei poteri tra centro e periferia dello Stato è sempre possibile.

Ma non dice nulla quello che è successo all’Inps? Alla prova dei bonus previsti dal “Cura Italia”, il sito è andato rumorosamente in crash e, quando i giornali hanno parlato di “un’ecatombe informatica”, la prima reazione dei ministri è stata più inquietante, in quanto rivelatrice di un disorientamento assoluto, che patetica. “Sono stati gli hacker”, hanno detto. E non dice nulla, ancora, quello che sta succedendo proprio in questi giorni nei Comuni? Bisogna distribuire i buoni spesa, bisogna fare in fretta, perché il disagio è massimo, eppure il caos è ovunque.

C’è incertezza su priorità e procedure proprio perché scarsa, come a Napoli, è la conoscenza della platea interessata, il che vuol dire che finora si è amministrato “a vista”, a casaccio. In entrambi i casi le Regioni non c’entrano. Risulta allora difficile credere che un potere centrale, incapace perfino di dire se indossare o meno le mascherine e in affanno nel distribuirle a medici e infermieri, possa far meglio delle Regioni. O dei governatori che pure hanno dato prova di “carattere” (ieri De Luca ha detto no allo sbarco di una nave proveniente da Mauritius) e di efficienza, tirando su in tempi record interi ospedali. Se avesse voluto rivendicare il comando nella gestione della crisi sanitaria, il potere centrale avrebbe potuto ricorrere all’articolo 120 della Costituzione.

Ma non lo ha fatto. E resta il dubbio se non l’abbia fatto per “distrazione” o per convenienza, cioè per paura di rimetterci in consenso, il che spiega le tante altre incertezze deplorate di recente anche dal New York Times. Da qui il sospetto che la messa in croce delle Regioni possa ora servire solo a buttare fumo nell’occhio. Il problema non sono le Regioni, ma gli strumenti del governo. Sovrano, come ha scritto giustamente Giuliano da Empoli ieri sul Mattino, è oggi chi dispone dei dati.

Poi ha aggiunto che gli attuali sovrani, quelli che oggi puntano il dito contro Fontana e De Luca, non hanno mai dato troppa importanza a questi dati: o perché più interessati a gestire il consenso sulle proprie piattaforme di partito o perché troppi impegnati nel denunciare l’apocalisse capitalistica dei dati relativi agli utenti di servizi. Cioè di quella profilazione che oggi si scopre che può essere gestita anche a fin di bene.