Resta il giallo della rottura del cavo
Tragedia del Mottarone, le prime parole del piccolo Eitan: “Ciao zia dove sono mamma e papà?”
Lo ha salvato il caldo abbraccio di papà Amit Biran, 30 anni, che lo ha stretto forte al petto durante la caduta. Il piccolo Eitan, 5 anni, unico sopravvissuto alla strage della funivia del Mottarone si è svegliato e ha detto le sue prime parole. China sul suo letto c’era la zia Aya. “Ciao zia, perché siamo in ospedale? Dove sono mamma e papà?”, ha detto.
“Ho male alla gola”, ha continuato il piccolo che è ricoverato all’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino. Il piccolo è stato a lungo intubato perché in gravi condizioni. Su quella funivia del Mottarone sono morti i suoi genitori il fratellino e i bisnonni.
Eitan, fa sapere la Città della Salute di Torino, è in una “situazione stabile ma la prognosi rimane riservata. Il torace è ancora contuso e la situazione addominale non permette ancora di rialimentarlo. Per questa ragione il bimbo rimane in Rianimazione ancora qualche giorno. Eitan comunque è sveglio ed ha accanto a sé la zia e la nonna. A volte Eitan chiede dei suoi genitori ma la zia gli resta sempre vicino”.
La solidarietà per Eitan
E la solidarietà intorno al piccolo si fa sentire da tutti. Tante famiglie si sono fatti avanti proponendo un’adozione ma gli zii si prenderanno cura di lui. I vigili del fuoco hanno realizzato un elmo con il suo nome, consegnato al personale sanitario dell’ospedale Regina Margherita dal comandante di Verbania, Roberto Marchioni, assieme a due capi squadra intervenuti sul Mottarone, che oggi hanno fatto visita al piccolo ricoverato. “Forza Eitan, siamo tutti con te” scrivono i pompieri sul loro account twitter, dove postano la foto dell’elmo per il piccolo sopravvissuto alla strage della funivia. I vigili hanno anche preparato delle magliette con il nome del bambino e l’immagine di Grisù, il draghetto che voleva fare il pompiere.
Resta il giallo della rottura del cavo: i fermati attesi davanti al gip
Il Giro d’Italia passerà davanti al carcere di Verbania: nel primo pomeriggio di sabato la corsa attraversa il cuore della città, dopo aver deviato venerdì, giorno in cui era prevista la sua salita al Mottarone. È in quello stesso carcere che si trovano al momento Gabriele Tadini, Luigi Nerini ed Enrico Perocchio, i tre fermati, per il momento, per la tragedia alla funivia del Mottarone, che ha provocato la morte di 14 persone.
Ed è qui che sabato mattina alle 9 ci sarà l’udienza di convalida del fermo fissata dal gip e l’interrogatorio per i tre. Che, secondo la procura, devono restare in carcere: per i tre sussistono, secondo la pm, diverse esigenze cautelari. Il rischio di fuga, perché non si sarebbero presentati subito dopo il fatto a dire quanto accaduto. Il rischio di inquinamento probatorio, poiché potrebbero accordarsi e cambiare versione, dice la procura. E infine anche il rischio di reiterazione del reato. I fatti sono ritenuti di “straordinaria gravità” dalla procura, che parla anche di “clamore internazionale” per la loro “drammaticità”.
Tadini, l’unico ad aver ammesso di aver deliberatamente inserito i ‘forchettoni’ all’interno dei freni, si è chiuso in preghiera, come continua a ripetere il suo avvocato. Che racconta anche la sua versione: “Faceva sostanzialmente delle prove. Ha messo questi ‘forchettoni’ un paio di volte, poi li ha tolti, molto spesso con la cabina vuota – spiega il legale di Tadini, Marcello Perillo -. Faceva delle prove perché c’erano questi rumori, quando faceva queste prove, che non lo convincevano”. Questi rumori, secondo la procura, Tadini li ha sentiti anche il 22 e il 23 maggio, cioè il giorno prima e il giorno stesso della tragedia. Si tratta di un “rumore caratteristico”, che potrebbe essere riconducibile alla presunta “perdita di pressione del sistema frenante” e che si ripeteva “ogni 2-3 minuti”.
Tra le ipotesi di reato inserite nella richiesta della procura c’è infatti, solo per Tadini, anche quella di falso: il caposervizio, che il giorno della tragedia si trovava alla base della funivia a Carciano, a Stresa, avrebbe falsificato “il Registro Giornale” e “attestava falsamente” lo stato dell’impianto sui registri anche impedendo così di assicurare l’attività di sorveglianza da parte del ministero.
Tadini, secondo il suo legale, è “pentito” e non avrebbe intenzione di ritrattare le sue dichiarazioni. “Lui mi ha detto che l’ultima cosa che avrebbe pensato al mondo che potesse succedere era la rottura del cavo traente. Lui non era sereno quando metteva questi benedetti forchettoni”, ha poi spiegato l’avvocato Perillo. Resta infatti il giallo della rottura del cavo: se tra le ipotesi al vaglio c’era anche quella di una correlazione tra il malfunzionamento del sistema frenante e la rottura della fune, l’avvocato sostiene che il suo assistito lo esclude al 100%.
La richiesta del carcere sembra però eccessiva ai difensori: sicuramente Perrillo chiederà per il suo assistito almeno i domiciliari, insistendo soprattutto sul fatto che non può esserci pericolo di fuga perché Tadini è andato spontaneamente in caserma dai carabinieri a Stresa due giorni fa, quando poi è stato fermato. Intanto continuano a essere sentite persone informate sui fatti, in particolare dipendenti. “I processi si fanno in tribunale e non davanti ai giornalisti” sono le poche parole che dicono gli assistenti dell’avvocato Pantano, che difende il gestore di Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini, davanti alla procura.
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