Per favore non chiamatele stragi. Eventi come quello di domenica sotto il ghiacciaio della Marmolada sono luttuosi e tragici e lasciano a terra, oltre alle persone decedute, intere famiglie, che non dimenticheranno mai quella giornata maledetta. Ma non cediamo subito alla logica perversa della “giustizia emotiva”, non cominciamo a cercare il capro espiatorio, possibilmente una fi gura apicale da insultare e umiliare con la barbarica fi gura della responsabilità oggettiva, e lasciamo per un attimo i fascicoli processuali nel cassetto. Abbiamo alle spalle esempi negativi come il processo che ha condannato a cinque anni di reclusione l’ex ad di Ferrovie Italia Mauro Moretti, piuttosto che una coda imprevista che riguarda il Pio Albergo Trivulzio di Milano. Cerchiamo di non ripeterli, con l’uso del processo penale, a ogni evento tragico.
L’Italia è tante cose, è anche quella dei ghiacciai diventati trasparenti, è quella del sottosuolo che trema e dei fiumi che esondavano prima di rinsecchirsi insieme al grano nella novella siccità, e poi anche quella dell’epidemia che ci ha colpito a morte. Tutto questo ci ha abituati purtroppo a dover far fronte a eventi più grandi noi e della nostra vita quotidiana, in cui entrano con violenza improvvisa come tragedie. Le quali vanno affrontate con serietà e attenzione, anche nel momento del dolore, perché spesso dietro gli accadimenti della natura o anche delle opere dell’uomo, come un palazzo che crolla o un treno che deraglia, ci sono sciatterie e distrazioni. Che vanno verificate e trattate per quel che sono, non sempre reati. Non cominciamo quindi a parlare di “stragi” e di “vittime” e ad aprire fascicoli e formare Comitati, spesso sobillati da qualche legale in cerca di notorietà, che si comportano come se fossero protagonisti di vendette private.
“Du calme”, come dicono i francesi. Perché le stragi, che l’Italia purtroppo ha ben conosciuto, sono un’altra cosa. Sono delitti dolosi, prima di tutto, e comportano la volontà di uccidere. Per questo le persone coinvolte, assassinate, sono “vittime”. E i responsabili, quando vengono individuati e processati, sono i colpevoli di un tragico atto voluto. Ma a Viareggio, proprio come domenica scorsa alla Marmolada e due anni fa al Trivulzio, e tante altre volte all’Aquila o a Genova, nessuno ha compiuto una strage.
Ci sono state tragedie, accadimenti luttuosi. Morti, non vittime. Forse qualche responsabilità soggettiva di tipo omissivo, non l’oggettività degli omicidi. Questa questione per cui, se sei l’amministratore delegato di una società, sei “oggettivamente” responsabile sul piano penale di qualunque accadimento più o meno grave o luttuoso accada all’interno, presenta due aspetti, ambedue negativi e pericolosi. Uno è di tipo ideologico, e ricorda molto le purghe staliniane. L’altro è di tipo più culturale, ma altrettanto pericoloso, perché sta portando piano piano l’Italia verso una giurisprudenza penale di tipo emotivo. Di fronte a un fatto tragico, entra subito nel processo una nuova figura, quella della “vittima”, che si fa subito Comitato di parenti e amici, con annessi avvocati, che chiedono la pena esemplare. Il processo pare inutile, e guai se comunque non termina nel modo auspicato. È molto difficile, per i giudici, mantenere quel famoso cubetto di ghiaccio nel cervello, quando si è martellati dai titoloni che parlano della “strage di Viareggio” o dei “poveri morti” di covid abbandonati al Trivulzio.
Così noi ancora oggi non sappiamo, o non abbiamo capito, quali siano stati i comportamenti del dottor Mauro Moretti che i giudici hanno considerato reato, tanto da condannarlo. Quello però che abbiamo visto –e può darsi che lui sia una persona così poco empatica da suscitare certe reazioni- è stata una folla che nell’aula del tribunale non tollerava neppure che l’imputato avesse il diritto di parola. Si stavano dunque celebrando due diversi processi, in uno dei quali c’era una sentenza scritta già fi n dai primi momenti successivi alla tragedia? C’era dunque una giustizia privata che si affiancava alla pretesa punitiva dello Stato? E i giudici sono rimasti sempre immuni dalla tentazione di amministrare una giustizia emotiva?
Se su Mauro Moretti e il sospetto che sia stato trattato come un vero capro espiatorio abbiamo letto diversi commenti, l’ultimo dei quali quello autorevole del professor Galli della Loggia sul Corriere di ieri, è passata del tutto inosservata una notizia che riguarda il Pio Albergo Trivulzio di Milano, la più importante e prestigiosa residenza per anziani d’Europa. La stessa che sta lanciando, proprio in questi giorni, l’ambizioso progetto di diventare anche polo geriatrico riabilitativo d’eccellenza, primo in Italia e in Europa per le cure intermedie, cioè quelle che fanno da cuscinetto tra l’ospedale e la casa. Una manna per le famiglie, e anche per gli ospedali, che potrebbero dimettere gli anziani, dopo la fase acuta, in tempi più brevi.
Succede però che, proprio negli stessi giorni, e quando si riteneva che l’antica “Baggina” fosse uscita con sollievo e anche una certa soddisfazione dalle inchieste giudiziarie con il contorno delle gogne inventate sul nulla da Repubblica e Fatto, il gip di Milano Alessandra Cecchelli non abbia accolto la richiesta di archiviazione della Procura e abbia disposto un’ulteriore perizia in contraddittorio tra le parti proprio su responsabilità oggettive. Va ricordato che la decisione della Procura di chiudere il caso era fondata sia sui risultati della perizia ufficiale, che sulle conclusioni cui era arrivata la Commissione voluta da Regione e Comune di Milano e presieduta dall’ex pm Gherardo Colombo. Non c’è alcun nesso di causalità tra le morti (in percentuale uguale a quelle di tutte le altre Rsa italiane ed europee) ed eventuali comportamenti della dirigenza dell’Istituto, avevano concluso il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e i pm Mauro Clerici e Francesco De Tommasi. Ma ecco spuntare il solito Comitato a opporsi, e ora ci sarà una nuova perizia. Giustizia emotiva? Intanto il direttore generale Giuseppe Calicchio rimane ancora un po’ sulla graticola, indagato per omicidio ed epidemia colposi. Il nesso di causalità non c’è, ma siamo sempre all’oggettività. Emotiva o staliniana?