Il riassetto della Regione
Trasporti, va bene l’azienda unica ma servono piani per la mobilità

In questi giorni è quanto mai attuale il tema della spesa nel settore dei trasporti. Alla scala locale, i dati pubblicati lo scorso martedì dal Riformista mostrano un quadro a mio avviso chiaro ed esaustivo. Volendo guardare in maniera fredda e asettica questi dati, sembrerebbe che il Comune di Napoli non sia messo male, soprattutto se lo si confronta con le altre grandi città italiane. Napoli è infatti al terzo posto per quanto riguarda la spesa complessiva per la mobilità pubblica e al quinto per quella pro-capite. Prima di Napoli figurano solo Milano, Venezia, Firenze e Roma. Anche il trend negli ultimi anni è positivo, con una spesa per la mobilità pubblica in città quasi raddoppiata in due anni. Ovviamente si potrebbe puntare ad aumentarla, soprattutto se la si confronta con quanto appostato dalle principali capitali europee che ormai da decenni puntano su una mobilità pubblica sostenibile e di elevata qualità per i cittadini, anche se a mio avviso non è questa la priorità. Sicuramente “quantità” non è sinonimo di “qualità”.
La storia del trasporto pubblico locale a Napoli e in Campania è lunga e complessa e spesso caratterizzata da inefficienze e politiche gestionali lontane da obiettivi di qualità e soddisfazione del cliente (il passeggero). Per fare solo un esempio, basta ricordare la crescita, osservata nel passato e tutt’altro che efficiente e razionale, del numero di dipendenti delle imprese di trasporto pubblico che hanno fatto lievitare i costi di gestione e spesso messo in crisi i bilanci aziendali. Fortunatamente da tempo si è invertita questa tendenza, ma per una piena riqualificazione – e, direi, riabilitazione del trasporto pubblico regionale – c’è ancora molto da fare, anche se bisogna riconoscere che i recenti amministratori delle aziende di trasporto campane stanno lavorando in questa direzione. In questo contesto, per puntare su qualità ed efficienza, l’ipotesi di realizzare un’azienda unica della mobilità come quella auspicata nell’intervista pubblicata ieri dal Riformista dal presidente dell’Eav Umberto de Gregorio, mi sembra condivisibile. Anzi, la trovo fortemente auspicabile.
Non vanno nascoste le difficoltà che un progetto così ambizioso nasconde e che a mio avviso sono sia di tipo politico-amministrativo che tecnico-gestionale. Con riferimento alle prime, c’è bisogno di una condivisa e ambiziosa visione politica delle amministrazioni coinvolte. Penso al Comune di Napoli, alla Città metropolitana e alla Regione. Basta che uno solo di questi soggetti non metta ai primi posti della sua agenda politica questo progetto e il rischio dell’ennesima “incompiuta”, di cui il nostro Paese è ahinoi ricco, diventa concreto, con il conseguente ennesimo spreco di risorse pubbliche e il perdurare di servizi di trasporto inefficienti e di bassa qualità per i cittadini. C’è quindi da augurarsi che la prossima Giunta comunale sposti questo progetto come esigenza primaria per la città di Napoli al pari di come mi sembra che voglia fare la Regione Campania.
Poi ci sono le difficoltà tecnico-gestionali che vanno da quelle meramente aziendali, ovvero legate alla nascita di un soggetto unico complesso in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati tramite un unico piano industriale, sino a quelle legate alla pianificazione e programmazione delle infrastrutture e servizi di trasporto. In generale, i fondi per il trasporto pubblico possono riguardare sia le infrastrutture che i servizi; affinché entrambi questi fondi siano spesi in maniera razionale e sostenibile è necessario che siano preventivamente programmati e periodicamente aggiornati. Tutto questo si chiama “pianificazione dei trasporti”: il Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums) e il Piano regionale dei trasporti (Prt) sono gli strumenti programmatici che racchiudono la visione politica e la programmazione alle differenti scale territoriali, non solo per il trasporto pubblico ma per l’intera mobilità.
Bisognerebbe quindi prima dotarsi di questi Piani all’interno dei quali prevedere infrastrutture, servizi di trasporto e magari l’istituzione di un’azienda unica della mobilità, individuandone obiettivi, strategie e governance. A mio avviso questa sarebbe una grande occasione per ridisegnare completamente la mobilità comunale e regionale, non più basata sul “servizio di trasporto”, ma su di un sistema integrato e multimodale di “servizi di mobilità” o, come dicono gli inglesi, di mobility as a service, dove il servizio offerto non è una singola corsa di trasporto ma l’intera mobilità door-to-door: una proposta integrata, dove il tradizionale trasporto pubblico è solo uno dei vettori che permette al viaggiatore di raggiungere la sua destinazione finale e, in aggiunta ai tradizionali servizi di trasporto, sono offerti anche servizi aggiuntivi che vanno dall’informazione alla micro-mobilità (monopattini e bici elettriche, per esempio) passando per la sharing-mobility e i parcheggi di interscambio modale. Così verrebbero soddisfatte le esigenze di mobilità e aumentata l’accessibilità sia delle aree più congestionate che di quelle più periferiche in un’ottica di mobilità più equa e condivisa.
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