Il dibattito sulla guerra in Ucraina
“Trattare è giusto, ma senza giustizia non ci sarà pace”, parla Riccardo Noury (Amnesty International)
Di Amnesty International Italia, Riccardo Noury è lo storico portavoce. La “voce” di chi non scopre certo oggi un mondo nel quale si fa quotidianamente scempio di diritti umani. Un mondo che AI tiene costantemente sotto monitoraggio, documentandone le vergogne, denunciando i responsabili di uno scempio di vite e di legalità in ogni angolo del pianeta, avanzando richieste puntuali a Governi, Stati, Organismi sovranazionali, richieste puntualmente quasi tutte inevase. «Se qualcuno si era illuso che una guerra in Europa sarebbe stata meno crudele – rimarca Noury – quell’illusione è terminata molto presto a Bucha a Mariupol e in altri luoghi dell’Ucraina perché lì si stanno svolgendo come sempre in guerra crimini contro la popolazione civile che non possono restare impuniti. Una pace giusta non si costruisce con la garanzia dell’impunità per autori e mandanti di quei crimini».
In Italia è in atto da tempo una “caccia ai pacifisti”, accusati di essere al servizio dello Zar del Cremlino. Lei che ne pensa?
In questi elenchi che mi preoccupano molto, Amnesty International non è stata ancora inserita. Siamo border line. Certo è inquietante che prima di prendere la parola, chi parla di pace debba fare una sorta di dichiarazione preliminare, e cioè di non essere pro Russia. Devo però aggiungere che è anche vero che in parte del mondo che chiede la pace si parla molto più dell’Iraq del 2003 che dell’Ucraina del 2022. E anche questo a me non piace.
I leader dell’Occidente, da Biden a Macron, da Scholz a Jonhson, hanno reso trasparente il sostegno militare all’Ucraina, dando conto degli armamenti inviati. In Italia invece è tutto, o quasi, “secretato” Perché?
Il perché non lo so. Certamente fa impressione non sapere che tipo di armi sono state inviate all’Ucraina, o magari scoprirlo da chi non ha il compito istituzionale di rivelarlo. Non sono i parlamentari né i giornalisti a doversi assumere questa responsabilità di fronte all’opinione pubblica. I giornalisti che indagano fanno bene a farlo, ma è il Governo che deve garantire la trasparenza. E quest’assenza di trasparenza si somma a un’altra questione altrettanto importante…
Quale?
Una posizione comune che ha l’Unione Europea dal 2008, subordina l’invio di armi a Paesi terzi, dunque a Stati non membri dell’UE, a due ordini di valutazioni: se questo invio aumenterà o meno, o ridurrà il rischio di violazioni dei diritti umani. In secondo luogo, se c’è il rischio che queste armi finiscano in mani sbagliate. Ora, sulla prima questione ognuno può pensarla come vuole. Sulla seconda, mi pare che il rischio, in questo conflitto, sia abbastanza grande. Per la quantità di soggetti che sono in campo, compresi i gruppi paramilitari, per l’invito che è stato fatto all’inizio dal presidente ucraino alla popolazione ad armarsi. Il rischio è che se noi inviamo armi senza tracciarle, tra un po’ le ritroveremo magari sul lato opposto a quello al quale le abbiamo mandate. Non credo che inviare armi là dove già ce ne sono in abbondanza sia la soluzione migliore. A me sembra che questo invio di armi corrisponda a una spinta militarista che c’è stata da parte della presidenza Biden, fondamentalmente, sulla quale in Europa si hanno anche idee diverse. Mentre c’è un conflitto che si svolge in Ucraina, sulla pelle degli ucraini, ed essendo l’Ucraina parte dell’Europa, in Europa, i due soggetti che stano militarizzando la situazione sono uno, quello che ha invaso l’Ucraina, cioè Putin, e l’altro, Biden, che è quello che spinge di più.
L’Europa, per l’appunto. L’impressione è che all’ordine del giorno sia l’allargamento ad altri Paesi europei, vedi Finlandia e Svezia, della Nato, mentre dell’Europa, come soggetto politico in campo, non se ne parla, come se non esistesse se non in subordine ai desiderata dell’alleato di oltre Oceano…
Ci sono delle assenze di azione politica e diplomatica che sono state evidenti in questi 70 e passa giorni di guerra. Ad esempio, il fatto che il segretario generale delle Nazioni Unite sia andato a Mosca soltanto due mesi e due giorni dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, sebbene abbia ottenuto qualche risultato dal punto di vista delle parziali evacuazioni da Mariupol, quell’assenza così lunga d’iniziativa diplomatica dell’Onu, non può non far riflettere. E se Guterres ha ottenuto qualche risultato, mi chiedo perché non ci sia andato subito. E questo è un aspetto. Dopodiché è anche vero che l’Europa non ha una politica che tenga insieme sicurezza e pace. È molto consolatorio dire che in Europa non c’era la guerra da settant’anni…
Invece?
La Bosnia a me risulta che faccia parte dell’Europa a pieno titolo. Il Nagorno-Karabakh idem. L’Europa non vuol dire Europa occidentale. L’Europa è tutta. Proprio in questo periodo stiamo ricordando i trent’anni dall’inizio della guerra in Bosnia, con tutti i massacri e con il genocidio che ci fu. Abbiamo anche dimenticato che un anno e mezzo fa c’è stato un sanguinosissimo conflitto dentro l’Europa, quello tra Armenia e Azerbaigian. Questo mi porta a dire che non abbiamo questa millantata tradizione di lunghi decenni di pace. Piuttosto c’è un’incapacità palese di introdurre una proposta politica che, per l’appunto, tenga insieme pace e sicurezza.
All’attenzione totalmente centrata sulla guerra in Ucraina, fanno da contraltare le altre guerre colpevolmente “ignorate”. Come la mettiamo?
Io penso che non ci sia nulla di cui vergognarsi se scatta una sorta di algoritmo emotivo maggiore per le sofferenze di chi è più vicino a noi, sentendo a noi più vicine persone con le quali tendiamo ad associarci di più, per mille ragioni. Un conflitto in Europa è chiaro che ci chiama in causa, non foss’altro per la paura che ci mette, e poi anche per la solidarietà che provoca. A me fa piacere quando si ricordano tutti gli altri conflitti. Va benissimo ricordare. Ma se poi il “benaltrismo” fa sì che noi dobbiamo ignorare la sofferenza della popolazione civile ucraina e quindi continuare a parlare ogni volta di Baghdad, degli Stati Uniti, di Abu Ghraib, per non parlare dell’Ucraina, oppure per dire che siccome Bush jr. è rimasto impunito, deve rimanere impunito anche Putin, a me questo non sta per niente bene.
Con la sensibilità propria di Amnesty International, cosa si può dire della presidenza Biden?
Dal punto di vista dei diritti umani, quello che accade sotto la presidenza Biden è molto preoccupante. Constatiamo che non viene messo fuorilegge l’uso delle armi, ma si cerca di mettere fuorilegge l’aborto. E per quanto riguarda la posizione della presidenza Biden sull’Ucraina, non mi pare che incoraggi una soluzione diversa da quella di vedere chi vince, auspicando che poi vinca la parte a cui Biden dà le armi. C’è poi l’uso un po’ strumentale della parola “giustizia”. Che gli Stati Uniti, vale a dire il soggetto che si è sempre tirato fuori dallo scrutinio internazionale, non aderendo alla Corte penale, tirandosi fuori dalle indagini sull’Afghanistan, ora parli di “giustizia”, è alquanto paradossale per non dire altro.
Si dice: sostenere, anche militarmente, la resistenza ucraina è condizione fondamentale per provare poi a negoziare una pace giusta. È proprio questo il fine o la vera posta in pallio è l’abbattimento del regime russo, o comunque un suo forte indebolimento?
La risposta che come Amnesty posso darle è che un negoziato se si fa mesi se non anni dopo che le due parti si distruggono – o più probabilmente una, la Russia, ne distrugge l’altra, l’Ucraina – con una escalation che può portare a ulteriori crimini di guerra, non mi sembra una soluzione felice. Il negoziato deve iniziare subito e bisogna pretendere da chi ha cominciato questa guerra di cessare immediatamente le ostilità. Il Cremlino ha già superato le linee rosse che dovevano restare invalicabili. La Russia, come abbiamo potuto verificare sul posto, usa armi, come le bombe a grappolo, vietate dalle convenzioni internazionali.
Ma è pensabile negoziare con un nemico, il cui capo viene definito un “macellaio” e per giunta genocida?
Queste espressioni sono funzionali a una strategia che è militare più che negoziale da parte di Biden. È evidente che la pace la si fa coinvolgendo e non oltrepassando coloro che sono protagonisti degli eventi bellici. E quindi è e chiaro che bisogna portare Putin a un tavolo negoziale. Detto questo, aggiungo subito che c’è una cosa che comincia a preoccuparmi…
Vale a dire?
Non vorrei che all’interno del cosiddetto “partito della pace”, possa avere il sopravvento l’idea che la pace si fa se però si rinuncia a incriminare Putin davanti a un organo di giustizia internazionale. Non vorrei che su questo s’innestasse una scissione, per cui dal “partito della pace” esca il “partito della giustizia” che cerca di portare avanti la sua idea, cioè che questa guerra non debba terminare con l’impunità generale. Se passa l’idea che c’è pace senza giustizia, dunque sovvertendo un motto fondamentale delle campagne per i diritti, io temo che non ne usciremo. Le guerre iniziano per mille motivi, ma iniziano anche perché chi dà il via a quell’attuale non è stato punito per quella precedente. L’elemento di deterrenza autentico che c’è adesso, oltre alle sanzioni e alle azioni politiche messe in atto, è anche quello di far funzionare la giustizia. In Ucraina sono stati commessi gravi e ripetuti crimini di guerra le cui prove Amnesty intende sottoporre alla giustizia internazionale che ha già avviato indagini con la Procura del Tribunale Penale Internazionale, perché quando questa maledetta guerra sarà finita non cominci il tempo dell’impunità.
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