Marco Travaglio e il Manette Daily non si indignano più per leggi ad personam, ad aziendam, “ad bananam”, conflitti di interessi e simili. È roba dal passato pare di capire a leggere le cronache anglosassoni con cui il Fatto Quotidiano sta seguendo l’iter dell’emendamento presentato dal governo giallo-rosso a tutela di Mediaset impegnata nello scontro con i francesi di Vivendi. Il giornale di Travaglio si limita a scrivere che la norma con una formula un po’ vaga permetterebbe all’Agcom di bloccare la vicenda per sei mesi rinviando tutto a giugno e dando una boccata di ossigeno al Biscione. Insomma potrebbero tornare utili i voti di Forza Italia al Senato per sostenere il governo e allora c’è un bel “contrordine compagni” e al massimo si scrive del caso per raccontare dei dissidi provocati dentro il centro destra tra il partito di Berlusconi e la Lega.

La sopravvivenza di questo governo è troppo importante per cui si depongono le armi utilizzate per tanti anni contro il nemico storico. Non si può neanche immaginare che cosa avrebbe scritto il Manette Daily nel caso l’emendamento “salva Mediaset”, assolutamente non scandaloso perché ogni governo tende a tutelare le sue aziende, fosse stato proposto da un esecutivo di centro-destra. Travaglio ha costruito la sua carriera di giornalista e polemista incentrata quasi esclusivamente sulle attività politiche e imprenditoriali di Silvio Berlusconi. Perché il fondatore di Fininvest ha fatto la fortuna anche di molti suoi nemici oltre che degli amici. Per un tempo lunghissimo e fino a due giorni fa Travaglio ha dato credito a qualsiasi sospiro uscisse da qualsiasi procura purché fosse possibile chiamare in causa Berlusconi.

Il Cavaliere è stato ritenuto dal Manette Daily responsabile di stragi di mafia nonostante fioccassero le archiviazioni arrivate dopo anni di indagini avviate iscrivendolo tra gli indagati con una sigla. È stato in pratica condannato mediaticamente, e per la verità non solo dal Fatto che era la punta dell’iceberg, in relazione alla morte di Imane Fadil presentata come supertestimone del caso Ruby, quando non lo era affatto. La virata è davvero impressionante. La ragione di vita di Travaglio e del suo giornale evidentemente è la sopravvivenza di questo governo costi quel che costi. Adesso i nemici storici del Cavaliere sono disposti anche a considerarlo uno statista, una sorta di padre della patria. Quello che è stato è stato. Adesso siamo in una fase nuova.

Berlusconi non è più “mafioso”, non ha più conflitti di interessi. E bisogna dire che il tema del conflitto di interessi è sparito dalle pagine dei giornali, non solo dalle prime e dal dibattito politico, da quando il 27 novembre del 2011 il Cavaliere lasciò palazzo Chigi. Da allora si sono succeduti governi diversi senza che nessuno rimettesse mano a quella materia. A conferma che l’attenzione spasmodica del passato era esclusivamente strumentale, cioè utile a tenere sotto scacco un avversario politico. Ma senza arrivare a sfornare una legge giusta ed equilibrata per risolvere un problema che in realtà esiste ma sul quale ora a fare finta di niente sono soprattutto gli avversari e non solo Travaglio.