Vito Crimi, ex assistente giudiziario del tribunale di Brescia, poi capo politico e viceministro, vorrebbe il taglio della lingua per Roberto Formigoni. Oddio, magari anche quello delle mani, come pena accessoria da sommare ai cinque anni e dieci mesi già erogati dal tribunale. Ma soprattutto vorrebbe condannarlo all’afasia, privarlo del diritto di parola, quello che si concede anche sul patibolo quando arriva il sacerdote. Per lui, che nei palazzi di giustizia ha solo trasportato carrelli e spostato fascicoli, il condannato deve stare in ceppi e tacere. E il fatto che Roberto Formigoni possa partecipare sabato prossimo alla maratona organizzata a Milano sul No al referendum, è “una barzelletta”, anzi addirittura la conferma della necessità, come comanda ai suoi sudditi re Travaglio ogni mattina nella colonnina di destra della prima del Fatto quotidiano, di esprimersi per il Sì.
Non ci può andare perché è agli arresti domiciliari, pensa Crimi, e perché le due ore d’aria cui ha diritto ogni giorno per le proprie necessità, dovrebbero essere utilizzate, nella mentalità moralistica dei Cinque stelle, magari per fare un po’ di penitenza camminando con le ginocchia sui ceci. Da bravo peccatore. Il giudice di Sorveglianza, visto anche la buriana scatenata, ha detto effettivamente che Formigoni non può andare alla manifestazione. Ssssh, silenzio. Uno come Formigoni potrebbe sporcare l’urna, contagiare la purezza dei taglia-vitalizi, taglia-parlamentari, taglia-gole. Per quelli come Crimi è il certificato penale quello che conta, non la storia delle persone. Di quel che ha fatto Formigoni per la sanità lombarda, trasformandola nella prima d’Europa e offrendone l’eccellenza anche a quei ragazzi venuti dal sud come il capo politico del Movimento cinque stelle, poco importa, si fa spallucce. L’unico biglietto da visita dell’ex governatore della Regione Lombardia accettabile è la condanna per corruzione del 2019.
Eppure, nel 2020 è accaduto qualcosa, in un palazzo di giustizia a soli novanta chilometri da Milano, a Cremona. È successo che, lontano dalle risse politiche, dagli strombazzamenti giornalistici e dal grande circo-gogna, in un processo-fotocopia di quello milanese, Roberto Formigoni sia stato assolto, su richiesta dello stesso pubblico ministero. Perché il fatto non sussiste. Cioè lo scandalo proprio non c’era.
Non è un fatto secondario, anche se quell’assoluzione è passata un poco inosservata, sulla stampa. Lo schema è sempre il medesimo che ha riguardato le delibere della giunta regionale lombarda (un voto collettivo, non una specie di Dpcm di un monarca, come usa Giuseppe Conte) sul San Raffaele e sulla Maugeri. In cambio il governatore avrebbe ricevuto, non mazzette (che non furono mai trovate), ma “utilità”, cioè viaggi e ospitalità. Nel caso dell’inchiesta di Cremona sarebbe stato addirittura un suo amico, Luca Guarischi, a ricompensarlo con viaggi e bottiglie di vino, per la sperimentazione di un acceleratore lineare per cure oncologiche.
Tutti innocenti però, secondo il tribunale, compresi il direttore generale Lucchina e la Direzione Generale dell’Ospedale Maggiore di Cremona Simona Mariani. Assolti. Perché è possibile. Senza scandalo. Peccato che Guarischi, che ai tempi del circo mediatico era stato condannato, stia ancora scontando ai servizi sociali, dopo un anno di carcere, e sia costretto a chiedere la revisione del processo. Vogliamo tagliare la lingua anche a lui?