Le polemiche sulla nuova direzione del giornale
Travaglio e giornaloni contro Riformista e Unità: Renzi e Romeo allarmano l’establishment
La notizia che Matteo Renzi assumerà la direzione del Riformista dal primo maggio ha scombussolato l’establishment. Sia nel campo della politica sia – soprattutto – nel campo dell’editoria e del giornalismo. La ragione della sorpresa e dell’irritazione non sta solo nella mossa improvvisa dell’ex presidente del Consiglio, che – attraverso la direzione di un giornale – riapre la sua battaglia politica e di idee (Si racconta che quando a Riccardo Lombardi fu proposta da Nenni la vicesegreteria del partito, egli rispose con sdegno: “Non so che farmene, voglio la direzione dell’ Avanti! perché io voglio fare politica, non il burocrate…”).
La seconda fortissima ragione dello stupore e della rabbia va cercata nel nome dell’editore. Il fatto che Alfredo Romeo raddoppi la sua forza editoriale, affiancando al vecchio e rilanciato Riformista la testata prestigiosissima dell’Unità, e che diventi il più importante editore della sinistra (dai tempi del vecchio Terenzi) non è stata accolta affatto bene. Nel mondo dell’editoria gli editori liberi non sono mai piaciuti. Anzi, sono temutissimi. Se un imprenditore mette la sua forza economica al servizio dell’informazione e di alcune idee – e non per corrompere l’editoria e le idee – la cosa preoccupa molto. Oggi la debolezza, in Italia, della stampa e del sistema di informazione è evidentissima. Non a caso l’Italia nella classifica dei paesi con l’informazione libera è più giù del settantesimo posto. Maglia nera. L’informazione in Italia è totalmente dominata da due colossi: il potere economico e le Procure. Che talvolta si affiancano, raramente si contrappongono, spesso si spalleggiano. Gli attori principali di questo poderoso schieramento sono Il Fatto, giornale delle Procure, e quelli che Travaglio chiama “i giornaloni”. Sono entità simili e complementari.
Né le Procure né il potere economico hanno visto di buon occhio il rilancio editoriale di Romeo. Hanno l’impressione che sia sceso in campo un corpo estraneo che non può essere controllato. E perciò è pericoloso: è corsaro, è indipendente, non risponde alla tirata di briglia, non si fa imbeccare. Va combattuto con cannoni ad alzo zero. La storia anche di imprenditore di Alfredo Romeo è sempre segnata dalla sua indipendenza, che non è mai piaciuta in giro. Romeo ha sempre lavorato in solitudine, non è mai entrato nelle cordate, non ha mai diviso il pane coi suoi concorrenti, non ha mai cercato né accettato accordi o compromessi. Romeo ha sempre avuto questa idea – giusta o sbagliata, non saprei – che un imprenditore deve lavorare da solo, rischiare da solo, guadagnare da solo, investire da solo. A me – che da qualche anno sono suo amico – me l’ha spiegata tante volte questa sua filosofia, e mi ha anche detto che è una filosofia che gli ha reso molto nella vita ma gli ha imposto anche prezzi altissimi. Tra gli altri quello di avere trascorso in prigione circa un anno, e aver subito ingiurie, assalti, insolenze, diffamazioni, per poi essere del tutto assolto.
Ve l’ho detto che è amico mio, oltre ad essere mio editore, ma non è per questo che dico che Romeo è un perseguitato, nel senso letterale della parola. È un perseguitato perché così dicono i fatti: è stato messo due volte in prigione, è stato intercettato per circa 12 anni, giorno e notte – in casa in ufficio, in auto, al ristorante, persino in arereo, dove, a parte lui, non hanno mai intercettato nessuno- è stato inquisito 16 volte, è incensurato, ha già ottenuto una decina di assoluzioni. Le intercettazioni non hanno portato a nessun risultato: solo spese per lo Stato. Ora, diciamoci la verità: quanti di noi, se intercettati per 12 anni consecutivi, ne uscirebbero idenni? La sostanza della vicenda giudiziaria di Romeo è questa. È uno degli esempi più lampanti di malagiustizia e di collusione tra potere economico e magistratura, e di uso di pezzi della magistratura per alterare le leggi della libera concorrenza e per danneggiare l’economia sana a vantaggio dell’economia “protetta”.
Gran parte della stampa, dicevamo, è rimasta sorpresa e si è infuriata per questa invasione di campo di Romeo. L’idea dei gruppi dirigenti della stampa è evidente ed è sempre stata quella: “l’informazione è cosa nostra. Nessuno è ammesso al nostro tavolo se non si sottomette”. Romeo, invece, senza chiedere il permesso, ha dato una gran manata sul tavolo e ha deciso di irrompere nell’arena con dei giornali indipendenti in un paese che non conosce indipendenza della stampa. Prima ha guidato per tre anni l’esperienza – che io credo sia stata molto importante – del Riformista, unico giornale totalmente garantista, poi ha raddoppiato acquistando l’Unità. Il più furioso di tutti, naturalmente è Il Fatto. Che è andato un po’ fuori di testa. Travaglio ha scatenato le sue pagine contro Romeo, e anche contro Renzi. Con articoli in gran parte comici. A partire dal suo, che riesce a parlare di tutte le ipotetiche malefatte di Romeo senza mai dire che l’accusa che gli è stata fatta, e cioè di avere turbato le aste di Consip, si è conclusa con un’assoluzione piena che chiude definitivamente tutta la vicenda, e cioè anni e anni di campagna di stampa diffamatoria e di calunnie. Il tribunale ha detto: no, Romeo non ha turbato un fico secco.
Anni – dicevamo – di campagna di diffamazione, che hanno portato danni umani, fisici e anche economici – grandissimi – a Romeo. Per i quali, credo, nessuno lo risarcirà. Ma il punto sommo della comicità, da parte del Fatto Quotidiano, è raggiunto da un articolo pubblicato in pagina interna, nel quale si citano con sdegno anti-Romeo tutte le sue vicende processuali. E poi, ogni capitoletto, ciascuno dedicato all’indignazione per gli orrori combinati da Romeo secondo i Pm, si conclude con una riga che sembra uno scherzo, sempre uguale: “Però è stato assolto…”. Alto giornalismo, diciamo la verità, non so se ormai è il tipo di giornalismo che si insegna nelle scuole di giornalismo. Certo, se dico che è robaccia lo faccio solo perché sono un tipo che usa le parole con sobrietà.
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