La guerra nella Striscia
Tregua a Gaza, Hamas apre ma intanto sopravvive e si rafforza con la sponda della comunità internazionale
I terroristi potrebbero liberare gli ostaggi civili entro il 20 gennaio dopo le minacce avanzate da Trump ma continuano a reclutare nuovi combattenti, mentre in Occidente c’è chi fa pressione contro Israele
La guerra condotta da Israele contro Hamas a Gaza, in seguito all’attacco del 7 ottobre, è senz’altro la più lunga e difficile che lo Stato ebraico abbia mai combattuto e che ancora oggi continua – suo malgrado – a portare avanti. Urge, quindi, chiedersi quali siano gli ostacoli da rimuovere affinché il conflitto possa concludersi il prima possibile.
Per individuarli bisogna innanzitutto capire se l’Idf abbia raggiunto i suoi obiettivi militari, e soprattutto in che misura l’abbia fatto. Il primo traguardo – la distruzione delle infrastrutture militari dei terroristi – è stato centrato, anche se non totalmente. L’arsenale è quasi annientato, la maggioranza dei tunnel è fuori uso e l’esercito di Hamas, un tempo coeso, è sconfitto. Da questo punto di vista, l’organizzazione si può dire smantellata. Il secondo obiettivo – la restituzione degli ostaggi attraverso la pressione militare, per costringere i macellai a trattare a condizioni accettabili per Israele – non è stato però ancora conseguito.
Hamas, al momento, non ha fornito i nomi degli ostaggi effettivamente vivi nella lista dei 33 che ha redatto. Ha affermato di non essere in grado di conoscere le condizioni dei sequestrati a causa dell’interruzione delle comunicazioni con i diversi gruppi di combattimento a Gaza, e che per questo ha bisogno di un cessate il fuoco. Ma, secondo le informazioni di Israele, in realtà sta mentendo poiché conosce sia le condizioni che la localizzazione di almeno alcuni di loro. È possibile che l’intesa si stia per raggiungere, dopo le minacce da parte dell’entrante amministrazione Usa di sanzionare i sostenitori di Hamas in Medio Oriente e di dar mano libera all’Idf di distruggere quel che resta dell’organizzazione, se entro il 20 gennaio non verrà accettato l’accordo (rimuovendo dunque le cosiddette “linee rosse” imposte da Biden).
Come mai Hamas, ammesso che ora ceda davvero, ha resistito così a lungo? La prima ragione è che, sebbene agonizzante, riesce a sopravvivere: i suoi combattenti – anche se sparsi – appena possono si riorganizzano in piccole unità nascondendosi tra i civili, rendendo così molto ardue le operazioni dell’Idf per neutralizzarle. Inoltre continua a reclutare nuovi combattenti, spesso minorenni, pagando gli stipendi alle loro famiglie grazie alla vendita delle forniture “umanitarie” sottratte alla popolazione. La seconda ragione, forse la più importante, è che Hamas ha vinto la guerra dell’informazione grazie alla collaborazione di molti media internazionali, di alcune Ong corrotte e delle Nazioni Unite, e ora anche del Papa. Costoro accusano lo Stato ebraico di atrocità, come quella di uccidere deliberatamente i civili, persino bambini, «mitragliandoli», e quindi di star compiendo un genocidio.
Questa pressione internazionale contro Israele ha incoraggiato e rafforzato Hamas, inducendola a resistere ed estendendo sia la guerra che la sofferenza dei civili di Gaza. Perché, infatti, i terroristi si sarebbero dovuti affrettare a negoziare, quando la causa palestinese che dicono di rappresentare – nonostante il massacro del 7 ottobre – sta ricevendo un enorme sostegno internazionale?
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