Tribunale di Napoli, i Pm e il boom di arresti

Nel 2019 sono state 4.316 le misure cautelari applicate dagli uffici giudiziari del Tribunale di Napoli. Nel 51% dei casi la custodia cautelare è stata in carcere, e il dato è ben al di sopra della media nazionale che si è attestata, sempre per il 2019, al 33,6%. Come leggere questo dato? Sicuramente il numero napoletano risente della diffusa presenza sul territorio della criminalità organizzata, il che si traduce in reati gravi per i quali è prevista la custodia cautelare in carcere, ma il dato sulle misure cautelari applicate in un anno nel capoluogo campano rivela anche altro. Cosa? Che si sta tornando a un più ampio ricorso alle manette.

Il carcere, che dovrebbe l’extrema ratio, torna a diventare la misura preventiva più adottata. E così, mentre i dati sulle altre misure alternative disposte dai giudici napoletani, fanno registrare, per il 2019, 365 misure con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, 289 divieti di avvicinamento a vittime di abusi e violenze, 304 obblighi di dimora, un divieto di espatrio e due di ricovero in una struttura sanitaria, sono state 1.143 le misure agli arresti domiciliari e 2.212 quelle in carcere. In un sistema in cui il sovraffollamento negli istituti di pena costituisce un problema non ancora irrisolto, in cui le indagini preliminari durano sempre di più e spesso le misure disposte dal giudice per le indagini preliminari vengono modificate o annullate dal Tribunale del Riesame, sembra sempre più difficile stabilire il confine tra il fisiologico e il patologico.

Nel report diffuso dal Ministero della Giustizia, sottoposto al Senato in occasione della discussione per istituire una Giornata della memoria da dedicare alle vittime di errori giudiziari (vittime che sono almeno mille all’anno in Italia, e più di 120 nel solo distretto di Napoli), si mette in evidenza che «sembra essersi fermata la tendenza notata nella relazione precedente, ad una riduzione dell’applicazione della custodia cautelare in carcere rispetto alle altre misure cautelari». Aumenta, cioè, seppure in maniera lieve, il ricorso alle manette, al carcere come misura cautelare preventiva. Un tema, questo, dibattuto da anni e su cui si incrociano e si scontrano motivazioni di carattere culturale e politico. Intanto, oltre un terzo della popolazione carceraria è composta da detenuti in attesa di giudizio e più della metà delle indagini preliminari durano tanto da far maturare la prescrizione. Nel 2019 la misura cautelare in carcere risulta applicata nel 38,6% dei casi in Italia a fronte di una percentuale del 38,3% rilevata nel 2018, un anno che a questo punto rappresenta l’eccezione nella regola che ha caratterizzato anche i periodi precedenti (40% nel 2017 e 42% nel 2016). Più carcere e meno domiciliari è il trend.

Nello scorso anno, infatti, secondo i dati ministeriali, il ricorso alla misura alternativa dei domiciliari ha subìto una leggerissima flessione (da 28,5 a 28,1%) rispetto all’anno precedente. Confrontando poi i dati sulle misure cautelari con quelli dei processi, si registra come, a fronte dei 34.604 procedimenti con misure cautelari iscritti nell’anno 2019, già nel corso del medesimo anno il 96,7% dei processi sia arrivato a sentenza almeno in primo grado (33.451 casi) e in 9.674 procedimenti (pari al 28% del totale degli iscritti e a quasi il 29% di quelli giunti a definizione) si sia arrivati all’irrevocabilità.

Può accadere, però, che la misura cautelare della reclusione venga chiesta da un pubblico ministero e applicata da un giudice senza i necessari presupposti di merito o di legittimità, può accadere che si verifichi un abuso o quantomeno un ricorso eccessivo a tale misura e, a quel punto, si parla di errore giudiziario e di diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. Ottenere il riconoscimento di questo diritto richiede un iter lungo e dall’esito non sempre scontato. In Italia, su 416 provvedimenti emessi nel 2019 da 21 corti distrettuali su 26, il risarcimento per ingiusta detenzione è stato riconosciuto nel 75% dei casi a seguito di sentenza di proscioglimento e nel restante 25% dei casi per questioni legate all’illegittimità dell’ordinanza di custodia cautelare.