Verso la ripresa
Tribunali allo sfascio, gli avvocati si facciano sentire
Scrivo mentre il tasso dei contagi da Covid schizza non sui luoghi di lavoro, ma al rientro dalle vacanze e per gli svaghi privilegiati nel corso di esse. Sta, nel contempo, per concludersi anche la sospensione feriale delle attività giudiziarie, un autentico totem intoccabile come attestato dal naufragio della riforma con cui Matteo Renzi aveva imprudentemente tentato di decurtarne la durata almeno in modo parziale. Certo, anche in questi mesi estivi non sono mancate le polemiche sulla giustizia, prima fra tutte quella del finto scandalo Palamara, come se non lo sapessero già tutti che le nomine dei capi degli uffici giudiziari sono da sempre lottizzate dalle fazioni politiche interne al Consiglio superiore della magistratura.
Tuttavia nessun aspirante padre della patria o altro maître à penser ha levato la propria voce per chiedere che almeno questo specifico periodo feriale – quello intervenuto dopo un lockdown totale di tre mesi e la “paresi spastica” che gli ha fatto seguito al posto dell’effettivo ripristino funzionale degli uffici giudiziari – fosse altrimenti destinato a recuperare almeno in parte la pioggia di quel micidiale blocco dell’attività processuale che ha aggravato il bagnato delle indecenti deficienze del servizio Giustizia precedenti all’insulto virale, tanto a Napoli quanto nel resto d’Italia. L’unica spiegazione che riesco a darmi è quella che, mentre declina precipitosamente anche il culto della Madonna, ci vuole davvero coraggio politico per attaccare l’unico mito rimasto evidentemente intangibile, cioè quello del “tutti al mare”. Ciò che più interessa nell’attualità è, tuttavia, che neppure la cosiddetta ripresa lascia presagire nulla di meglio.
Come non fossero bastate le vacanze dopo il lockdown, risulta infatti che i capi degli uffici giudiziari già si apprestino a nuove levate di ingegno che rinnovino con variazioni minimali i discutibili fasti già sperimentati nei mesi scorsi con la decurtazione verticale dei processi da trattare, con le insulse limitazioni vessatorie agli accessi del pubblico presso gli uffici, con le più fantasiose e ottuse procedure, finanche di prenotazione (sic!), da imporre al gregge di un’avvocatura sempre più rassegnata e belante. Certo allo scopo di non inimicarsi i sindacati, paladini di una implausibile turris eburnea che valga a preservare in assoluto dal contagio, in tutto il mondo, giusto e solo gli iscritti addetti alle cancellerie et similia. Ma anche senza alcuna preoccupazione che la maggioranza dei magistrati inquirenti e giudicanti insorga contro la conseguenziale decurtazione netta dei rispettivi impegni in udienza e non. Senza purtroppo neppure doversi preoccupare che un qualche ministro o altro peripatetico rappresentante istituzionale di quel popolo in nome del quale sono chiamati a svolgere la loro funzione, chieda infine loro un qualche conto per il fatto che si sta così candidando il nostro Paese alla devastazione irrecuperabile dell’essenziale servizio Giustizia e, dunque, alla sua inevitabile espulsione dal novero delle nazioni civili e democratiche. Chi ritiene di rappresentare davvero i diritti dei cittadini nei processi e al di fuori di essi non lo può e non lo deve consentire. Gli avvocati facciano dunque, almeno essi, sentire ora la loro voce. Tra poco potrà essere già troppo tardi.
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