La proposta
“Tribunali e prigioni in tilt, ecco come sbloccarli”, la proposta del giudice Morello
Subito l’amnistia e l’indulto. Poi riforme che prevedano un’ampia depenalizzazione, l’estensione dell’ambito applicativo dell’assoluzione per particolare tenuità del fatto e un rafforzamento degli organici degli uffici giudiziari. Eccola, la strategia che Tullio Morello, magistrato in forza alla sezione penale del Tribunale di Napoli, suggerisce per sciogliere i nodi della giustizia italiana e partenopea. Già presidente della sezione locale dell’Anm, Morello ha più volte denunciato il collasso della giustizia penale e del sistema carcerario, oltre a sottolineare la necessità di una riforma della carriera delle toghe.
Dottor Morello, le vicende di Francesco Nerli e Antonio Bassolino ripropongono il tema degli errori giudiziari e, soprattutto, della valutazione dell’operato dei giudici. Il sistema di controllo attualmente in vigore è sufficiente?
«I criteri di valutazione sono chiari ed è oggettivamente difficile prevederne altri senza intaccare l’indipendenza della magistratura. Anche perché le sanzioni esistono e vengono applicate. Una soluzione ottimale non esiste, ma la verità è un’altra».
Quale?
«I magistrati sono pochi e si occupano di troppe cose. In più, norme e fatti sono suscettibili di diverse intepretazioni. Non a caso il legislatore ha previsto non uno, ma tre gradi di giudizio. Senza dimenticare che il risultato del processo penale dipende, oltre che dalla professionalità del giudice, dal comportamento del pm e dei difensori di periti e testimoni. In un contesto così confuso l’errore è dietro l’angolo. E a questo dobbiamo aggiungere gli effetti della pandemia che ha paralizzato la giustizia».
Come se ne esce?
«L’amnistia è il primo provvedimento da adottare per resettare il sistema e far ripartire il processo penale. Non spetta a me indicare i reati da estinguere attraverso l’amnistia, ma si può ragionare sulle fattispecie contemplate dalle leggi speciali che rappresentano circa il 60% del carico di lavoro del giudice monocratico. Con l’amnistia si darebbe ossigeno agli uffici e i giudici monocratici potrebbero offrire il loro contributo nei processi collegiali per reati più gravi».
A proposito di numeri, in Campania ci sono più di 6.600 detenuti. Quasi la metà è in attesa di giudizio, mentre solo una minima parte si trova in cella per reati gravi. È accettabile?
«No. Il dato sui detenuti in attesa di giudizio è altissimo e collide con i principi costituzionali e di legge che ispirano il processo penale. Le condizioni delle carceri, dove il sovraffollamento è evidente e accresce il rischio di diffusione del Covid tra i reclusi e il personale, impongono soluzioni drastiche e rapide. Perciò, oltre l’amnistia, al nostro Paese serve l’indulto».
Non ritiene possibile abolire il carcere, almeno per certi reati, sostituendolo con percorsi formativi o finalizzati all’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro?
«Certo, il carcere deve essere considerato come extrema ratio e previsto solo per i reati più gravi. Anzi, dirò di più: per i reati bagatellari è indispensabile una depenalizzazione. Con i proventi delle sanzioni amministrative, infatti, lo Stato reperirebbe le risorse necessarie per potenziare l’organico delle Prefetture che sarebbero chiamate a occuparsi di quel tipo di illeciti. E poi bisogna ampliare l’ambito applicativo dell’articolo 131 bis del codice penale sull’assoluzione per particolare tenuità del fatto: il limite edittale della pena detentiva non superiore a cinque anni non consente di disporre l’assoluzione in casi in cui il fatto illecito è lieve e il danno o pericolo è esiguo».
i napoli
«Queste misure produrrebbero un impatto notevole. C’è da dire, però, che molte persone si trovano in cella anche perché non hanno nessuno che presenti per loro l’istanza di ammissione a misure alternative come la detenzione domiciliare. E perché il Tribunale di Sorveglianza è affetto da una cronica carenza di personale amministrativo. Anche su questi aspetti bisogna intervenire al più presto».
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