«Non si vanno a curare i sani, qualunque medico si avvicina di più a un paziente grave». Queste parole racchiudono il senso della visita della guardasigilli Marta Cartabia al distretto della Corte di appello di Napoli e, in particolare, in città e ad Aversa. Tribunale, quest’ultimo, nato nel 2013 per alleggerire il carico di Santa Maria Capua Vetere e di Napoli, ma che, seppur “giovane”, sconta una situazione catastrofica, con processi penali rinviati addirittura al 2025. Non vi è dubbio che fosse nato già sotto una cattiva stella: basti pensare al nome, “Napoli Nord”, che fa di quel Tribunale l’unico in Italia a essere indicato come l’uscita di un’autostrada. Bene ha fatto la Camera penale aversana a denunciare le numerose inefficienze con un libro bianco che gli avvocati hanno consegnato alla ministra della Giustizia affinchè non dimentichi.

La ministra-medico, che giustamente si è chiesta come sia stato possibile ridursi in questo stato, ha già pronta la cura e l’ha illustrata nel corso dell’incontro con i vertici degli uffici giudiziari partenopei e con i rappresentanti del Consiglio dell’Ordine degli avvocati che hanno ribadito le gravi patologie dalle quali è afflitto il distretto e deriva l’enorme carico di procedimenti penali pendenti: oltre 57mila, uno su tre destinato a prescriversi. Di qui l’allarme lanciato dai magistrati per il progetto di riforma che prevede l’improcedibilità dell’azione penale ove il processo di appello duri più di due anni. La maggior parte dei processi si concluderebbe con la dichiarazione d’improcedibilità. Non si comprende, invero, tale preoccupazione che non muta affatto il risultato finale, se non per alcuni effetti: oggi prescrizione, domani improcedibilità. Mentre la soluzione indicata dalla ministra rispetta due fondamentali principi della Costituzione: la ragionevole durata del processo e la presunzione di non colpevolezza. La stagione dell’“imputato a vita” voluta dall’ex guardasigilli Alfonso Bonafede dovrebbe essersi conclusa.

Da buon medico, Cartabia comprende che la malattia non può protrarsi a lungo e che è necessario intervenire prima che il malato diventi terminale. Vi saranno quindi nuove assunzioni, sarà costituito l’ufficio del processo e, per la prima volta, è stato fatto anche riferimento alla possibilità di far rientrare al lavoro magistrati in pensione. Sulla necessità di coprire l’organico, oggi con assenze che arrivano al 40%, sia tra i magistrati che tra gli amministrativi, si è chiaramente d’accordo: vanno fatti nuovi concorsi e assunzioni. Ma contemporaneamente, lasciando i pensionati a casa, vanno richiamati in servizio i tanti magistrati fuori ruolo, destinati a funzioni non giudiziarie ma amministrative presso il Ministero della Giustizia, l’Ispettorato generale, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Camera dei deputati, i Ministeri, le Autorità indipendenti, le Commissioni parlamentari, gli Organismi internazionali, la Scuola superiore della magistratura. Sono più di 200. Il limite massimo di 200 previsto per legge, infatti, non riguarda lo svolgimento di particolari funzioni giudiziarie presso organi costituzionali o di rilevanza costituzionale e non trova applicazione nei confronti dei magistrati collocati fuori ruolo presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della magistratura.

Sono un esercito e davvero tutti insostituibili? Ci si chiede, per esempio, perché ai vertici del Dap debba esserci un magistrato, spesso proveniente dalla Procura della Repubblica e spesso dalla Direzione Antimafia, che, per esperienza e probabilmente per cultura, non ha tra le sue priorità la rieducazione prevista dall’articolo 27 della Costituzione. Ancora, bisogna impedire che magistrati in servizio svolgano anche funzioni presso le Commissioni tributarie. Sono molti quelli che, unitamente al lavoro da svolgere per la loro funzione, lavorano anche in sede tributaria, sia giudici che pm. Recuperare immediatamente oltre 200 magistrati e restituirli alla giurisdizione sarebbe un ulteriore segnale di cambiamento che porterebbe alla prevista separazione dei poteri, senza interferenze tra quello legislativo e quello giudiziario. Interferenze che, spavaldamente, giungono ogni giorno dai media da parte di singoli magistrati, privi di potere di rappresentanza della categoria, ma nonostante ciò interpellati, quotidianamente, pur se a capo di una piccola Procura.

Quanto all’Ufficio del processo, cioè allo staff di giovani laureati chiamati ad affiancare il giudice, non crediamo che possa effettivamente agevolare e accelerare il lavoro del magistrato. Allontanerà i pm dalle indagini e i giudici dal processo, a meno che non vi sia una rilevanza mediatica dei fatti, come oggi avviene, in parte, per i procedimenti affidati ai viceprocuratori e ai giudici onorari, senza il cui contributo la giustizia si fermerebbe. Una buona “cura”, però, non può prescindere dall’eliminazione delle occasioni di contrarre “malattie”: occorre depenalizzare quelle fattispecie  che non hanno rilevanza penale e diminuire drasticamente il numero dei “malati”, con un’amnistia e un indulto, per dedicarsi a quelli più gravi e ai nuovi arrivi.