Ad infilzare Pasquale Tridico, nervoso e sudaticcio mentre fa su e giù scomodissimo sulla sua sedia come fosse un cavallino a dondolo, basterebbe l’aria di sorridente pietà con cui Renata Polverini, in collegamento da remoto coi capelli svolazzanti, butta là: «Nooo nooooo, ma io gli credo quando dice che non è stato lui». L’audizione del presidente dell’Inps alla Commissione lavoro della Camera, un’accidentata perfomance via streaming alla vigilia di Ferragosto, non è stata alla fine il fuoco di fila di domande incalzanti che le opposizioni avevano promesso. Forza Italia e Fratelli d’Italia le sue dimissioni comunque l’hanno chieste. Hanno tentato, invano, di fargli spiegare il come e il perché della fuga di notizie su dati sensibili.

Tridico alza le mani: non sono stato io. Giura che i nomi dei tre parlamentari che hanno chiesto e ottenuto il bonus Iva da 600 euro – notizia nota all’Inps da più di due mesi e uscita adesso, a ridosso del referendum sul taglio dei parlamentari voluto dai Cinque stelle grazie ai quali lui ha avuto la nomina – non sono venuti fuori dall’Inps.
E da chi, allora, visto che le liste dei richiedenti sospetti sono state stilate dall’Unità antifrode dell’Inps, misteriosa creatura creata su sua richiesta?

«Le notizie sui bonus non sono state certo diffuse dall’Istituto. Respingo tutte le accuse di manipolazione, accuse fantasiose mosse per motivi che mi sfuggono. I controlli sono stati fatti per verificare l’effettivo diritto a ottenere il bonus» dice lui agitando le braccia come uno che affoga. Per Tridico l’audizione inizia male. È talmente sottosopra che non riesce a usare la webcam. Per lunghissimi minuti l’inquadratura fissa un innocente Sergio Mattarella incorniciato alla parete accanto al tricolore, mentre in un angolino sinistro sul fondo dello schermo si vede la fronte accaldata del presidente dell’Inps, capelli color mogano appiccicati in testa, che con voce affannata smitraglia una serie di numeri letti di corsa: «Abbiamo pagato 2,7 milioni di bonus entro il 15 aprile, abbiamo dormito letteralmente nelle stanze dell’Istituto». «Partite Ive (sic)» di qua, «vi spiego un attimo» di là. Confonde il ministero del Lavoro con quello degli Esteri, sembra non potercela proprio fare il professore. Alla fine una ne imbrocca. «Per avere diritto al bonus — dice Tridico — il richiedente non deve essere iscritto ad altre forme previdenziali obbligatorie. Sulla base di questa norma l’Unità antifrode ha mandato una prima tranche di circa 40 mila soggetti che alla data risultavano iscritti a un’altra forma di previdenza».

Gli viene in soccorso Guglielmo Epifani (Leu), l’unico che sembra averci capito qualcosa. Gli chiede perché non s’è occupato subito della questione dei differenti sistemi di previdenza, che riguardano necessariamente anche i parlamentari. Cita Cazzola. Caritatevole, gli spiega anche che tutto mondo è paese, che in Germania a un certo punto si sono accorti che per chiedere un rimborso da 1000 euro poteva bastare possedere un cavallo. Tridico, finalmente sollevato: «Il cavallo – esulta – il cavallo!». Rincuorato, s’allarga. Chiede di «guardare la luna e non il dito», di non inchiodarlo a questa storia della manina rea d’aver fatto uscire la notizia sui duemila politici con bonus – senza distinzione tra deputati, consiglieri regionali e consiglieri comunali da pochi euro a seduta – proprio adesso che serve a Di Maio.

Sulla schedatura di persone che non hanno compiuto né reati né frodi (comunque sputtanate) si difende così: «Nel periodo del Covid l’esigenza era pagare subito e controllare dopo». I seicento euro erano appetibili per chi froda» e per questo le «verifiche sono ancora in corso». Più che il processo implacabile annunciato alla vigilia, l’audizione via web di Tridico ieri è stata una carrellata di un campionario di varia umanità in piena estate. L’apparizione fugace di un nerd tra gli alberi con lanternine appese ai rami. La deputata Tiziana Ciprini, Cinque stelle eletta in Umbria, che si presenta con bretelline, rossettone e occhi bistrati, genere Moira Orfei a fine serata.

La piddina Deborah Serracchiani, in grave difficoltà col computer, che ricorda a Tridico come da presidente di Commissione le corra purtroppo l’obbligo di pretendere da lui i nomi di quei due parlamentari sfuggiti per ora alla gogna perché hanno chiesto il bonus, sì, ma senza ottenerlo.  Cos’è che vuole la Serracchiani? Il nome del renziano? Non lo dice, ma non molla.  Tridico prende tempo. Fa il vago anche sul se davvero un vicepresidente della Camera (Rosato di Italia viva?) gli ha chiesto riservatamente se nel suo gruppo c’è qualcuno con una richiesta bonus non dichiarata. «Questo riguarda la sfera personale e non interessa». Si nasconde dietro l’attesa d’autorizzazione a parlare da parte del garante per la privacy.

Spiega d’aver ricevuto il 7 agosto la telefonata del direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, che gli diceva di avere un’informazione e gli chiedeva i nomi dei parlamentari. Giura di non averli dati, sottolinea che il titolone sul quotidiano è uscito solo il 9. Da Repubblica gli arriva un salvagente mentre l’audizione è ancora in corso. Dicono che la notizia l’hanno avuta d’altra fonte, che ovviamente tengono riservata. Lui smitraglia un’altra serie di cifre abbastanza inutili e alla fine tira un sospirone di sollievo. Si butta all’indietro sullo schienale e riavvia il ciuffo, esausto. «Fiuuuuuu», si sente proprio. Il microfono non perdona.