Se è sufficiente il relax di un fine settimana per innescare il Monday Blues, non stupisce allora l’esistenza di un Post-Vacation Blues: non una malattia ma una reazione transitoria caratterizzata, tra altri piccoli fastidi, da apatia, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, irritabilità, sbalzi di umore e spossatezza che potrebbero insorgere al rientro dalle vacanze. Salvo che nel caso di ansia o depressione sottostanti e più o meno latenti, è bene non spegnere questi sintomi con gli psicofarmaci. Anzi, comprenderne fino in fondo l’origine può rivelarsi utile per programmare il nuovo anno di lavoro perché il rientro non dovrebbe essere vissuto come l’inizio di un conflitto ma come l’avvio di una nuova avventura. Rientrare al lavoro dopo le ferie è duro, ma dipende anche dalle condizioni di partenza. Il periodo necessario a garantire un buon recupero fisico e mentale è direttamente proporzionale ai nostri livelli di energia.

Una batteria all’1% richiede più tempo per ricaricarsi. È importante, quindi, prenderci cura di noi stessi con costanza e non arrivare sfiniti alla partenza: garantirsi ripetuti momenti di riposo nel corso del tempo è un pozzo da cui attingere acqua, non una jacuzzi. Una necessità, non un lusso. Bene focalizzarsi sull’avere se non si dimentica che si può scegliere il modo: o accumulare sempre di più o desiderare il giusto. Lavorare senza sosta solo perché lo si “può” fare non significa che lo si “deve” fare. Rimane fondamentale tendere, per quanto più possibile, al raggiungimento di un giusto equilibrio dinamico tra il lavoro e il vivere. Il lavoro duro e impegnato è una cosa importante e seria che dovrebbe garantire la vita senza mai sostituirla completamente: non ci si eleva al livello dei risultati, si cade a quello delle nostre abitudini.

Gli effetti del rientro al lavoro dipendono non solo da aspetti individuali ma anche dalle caratteristiche degli ambienti nei quali si torna. Se sul luogo di lavoro si è esposti a una mancanza di sicurezza e di fiducia, a insane competizioni, a una sensazione di negatività, a una leadership offensiva, al pettegolezzo, alla discriminazione, all’invidia, alla mancanza di rispetto e di opportunità di crescita, a carichi di lavoro eccessivi e così via, è davvero impossibile cambiare? Se non si hanno dei tratti masochistici da cui scaturisce il piacere di rimanere in ambienti tanto tossici e vi sono alternative allora più che seguire l’ottimismo della volontà potrebbe essere arrivato il momento di confrontarsi con il pessimismo della ragione. La buona volontà, in nessuna situazione, dovrebbe impedirci di guardare in faccia la realtà.

Sempre con gli occhi della speranza che le cose potranno cambiare in meglio, soprattutto con il nostro contributo, e mai con quelli dell’illusione. Prima di accettare obtorto collo la tossicità di un ambiente di lavoro, come di altre possibili situazioni della vita, a noi il compito di ricordarci che due semplici parole potrebbero riservare belle sorprese anche quando la sfida sembra impossibile: è il potere del “come” e dell’“ancora”. Trasformare quel “non posso” in “come potrei” e quel “non posso riuscirci” in “ancora non posso riuscirci”, aiuta a cambiare l’atteggiamento mentale davanti alle sfide quando decidiamo di accettarle.

Perché, se è vero che serve anche la fortuna e che non può essere pilotata, a noi spetta il compito d’incrementare la superficie per esserne toccati. Espandiamoci al mondo e alle relazioni attraverso la curiosità e l’esplorazione oltre le nostre zone di comfort: altrimenti, in assenza di bersaglio, non c’è freccia che andrà a segno. Quando ci troviamo su un binario dove non passa mai il treno giusto possiamo lamentarci, scoraggiarci, inveire e compiangerci rimanendo in attesa o, al contrario, renderci conto che siamo su un binario sbagliato e metterci alla ricerca di quello corretto. La nostra mente può essere il nostro migliore alleato o il nostro peggior nemico: sta a noi decidere. Buon lavoro!

Redazione

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