Un fulgido esempio della piena appartenenza del genere “giallo” nella Letteratura con la L maiuscola è tutta l’opera di Rex Stout, il creatore di Nero Wolfe, uno scrittore che ha veramente poco da invidiare a maestri come Raymond Chandler o Dashiell Hammett, i due giganti del noir americano.
L’introduzione di Sandro Veronesi
Le ragioni della grandezza di Stout sono benissimo riassunte nella prefazione di Sandro Veronesi al libro stoutiano che Neri Pozza ripubblica, “Troppe donne”, uno dei gialli più importanti di questo autore (del quale vogliamo ricordare qui, per i pochi che non l’avessero letto, altri due romanzi: “Alta cucina” e “Fer-de-lance”), dove ancora più centrale che altrove è il braccio destro di Wilde, Archie Goodwin, colui che materialmente investiga e per così dire “porta” al grande investigatore sprofondato nella sua enorme poltrona i vari tasselli della storia che egli mette insieme e analizza per risolvere il caso.
Scrive Veronesi che «nella macchina narrativa costruita per generare la rivelazione finale la qualità più preziosa e memorabile non risiede né nella macchina narrativa né nella rivelazione finale, ma in tutto il resto (in corsivo, ndr)». È verissimo. La forza dì Stout sta esattamente in quel “tutto il resto”: nella gigantesca figura di Wolfe, nella brillantezza bohémienne di Goodwin, nella galleria dei personaggi della “casa-mondo” dell’investigatore (il cuoco Fritz), nei collaboratori che aiutano Nero (Saul Panzer e gli altri), nel personaggio che inconsapevolmente lo ostacola (l’ispettore Cramer), persino ai luoghi della casa (la serra delle orchidee), sicché leggendo Rex Stout ci dimentichiamo dell’intreccio per andare dietro alla letterarietà dei personaggi, al gusto dei dialoghi, al discorrere forbito e ironico dell’investigatore privato e, quando ci sono, agli scorci di New York.
La frase più bella
Nero Wolfe ha la forza letteraria del suo “collega” francese Maigret, con il quale condivide una certa disillusione storica un pochino ottocentesca, e probabilmente superiore a quella di Poirot e persino a un altro grande come Sherlock Holmes. Veronesi ci dice quale sia per lui la frase più bella di “Troppe donne”: «Accavallò le gambe, ponendole quasi parallele, nella classica posa del Ventesimo secolo». E qui siamo a Scott Fitzgerald, cioè letteratura pura.