Più di mille morti solo nell’ultimo anno
Troppe regole e pochi controlli, ecco perché si continua a morire di lavoro
“Basta morti sul lavoro”. L’ultimo a sollevare un grido di dolore su questo argomento che ha assunto toni drammatici è stato Papa Francesco. In occasione della Messa di Natale, il Pontefice ha ribadito l’importanza di dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro”. E prima di lui è stato il presidente Sergio Mattarella a sollevare l’allarme su questa che ha definito una “ferita sociale lacerante”.
Nell’anno che ci ha lasciato, le vittime di questo dramma erano oltre mille e cento già a novembre. Il dato che emerge dalla somma dei casi di decesso sul lavoro negli anni tra il 2009 e il 2019 è spaventoso: circa diciassettemila. E c’è da dire che non tiene conto dei tanti lavoratori in nero che sfuggono ai controlli e, quindi, alle statistiche, nonché di decine di migliaia dì morti per malattie professionali e ambientali. Cosa fare per ridurre l’impatto di tale problema, che vede l’Italia particolarmente esposta? Il sindacato Filca-Cisl ha lanciato l’idea della patente a punti, poi ripresa dai leader di Cgil, Cisl e Uil, vale a dire uno strumento che costringa le imprese a lavorare in totale sicurezza, già avallato anche dalle altre sigle sindacali per rendere l’Inail protagonista di una rinnovata azione di prevenzione nei cantieri edili, anche con l’assunzione di tecnici con l’incarico di promotori della sicurezza.
La proposta prevede che nei giorni immediatamente successivi l’apertura di un cantiere edile, l’Inail invii i suoi tecnici per certificare la bontà del sistema di sicurezza introdotto dall’impresa. In caso di eventuali irregolarità, l’Istituto chiederà di procedere alla regolarizzazione, sulla scia di quanto già previsto dalle norme in essere. Uno strumento simile per il settore costruzioni era già previsto da una legge del 2008, ma in questi anni non è mai stata attuato. Non priva di interesse anche la soluzione annunciata di recente dall’Assessore al Welfare della Regione Lombardia, Letizia Moratti, che ha parlato dell’adozione, quale strumento ordinario di vigilanza, di un algoritmo che consentirà di individuare i cantieri maggiormente a rischio e di sottoporli prioritariamente a controllo. È auspicabile, infatti, che anche la transizione digitale dia un contributo a ridurre gli eventi di questo triste “bollettino di guerra” connesso alle attività di lavoro. Va rimarcato con forza che il personale ispettivo delle Asl si è dimezzato in dieci anni, fatto che contribuisce certamente a ridurre i controlli. E a questo proposito il mio convincimento è che averli estesi all’Ispettorato Nazionale del Lavoro non sia evidentemente sufficiente, perché sarebbe necessario aumentare i tecnici della prevenzione delle Asl.
Quanto al Testo unico approvato nel maggio 2014, dopo decenni di legislazione contraddittoria e disordinata, parliamo di un dispositivo che dovrebbe semplificare il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro. Ma è da rimarcare che il corpus legislativo a questo proposito continua a essere mastodontico e ingestibile: 314 articoli divisi in 12 titoli, 52 allegati per un altro migliaio di regole tecniche, organizzative e procedurali. Peraltro, al Testo unico devono poi aggiungersi numerose altre regole di dettaglio e aggiornamento: fino a oggi sedici decreti ministeriali attuativi, svariate decine di circolari ministeriali, interpelli e note. Con questa ipertrofia normativa non stupisce che la sicurezza del lavoro venga percepita e trattata in azienda come un insieme di adempimenti indigesti, materia per tecnici e non per manager, impegnati ogni giorno a fare business. Quando un sistema di regole è troppo dettagliato e minuzioso, è forte il rischio che non sia sempre rispettato.
La normativa troppo capillare si scontra ogni giorno con infinite difficoltà applicative dovute alla asistematicità di quanto capita in qualsiasi normale gestione aziendale. La sanzioni penali o amministrative sono numerosissime. Qual che manca è la parte premiale di un sistema che è sostanzialmente repressivo. In questo modo è molto difficile che cresca e si sviluppi una cultura aziendale della sicurezza sul lavoro effettivamente sentita e condivisa: la sicurezza da intendersi non più come un vincolo imposto per legge o un semplice imperativo morale, bensì come un’opportunità strategica. Per dirla tutta: Non più un costo improduttivo, ma un investimento competitivo, tecnologico e organizzativo.
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